A cura del dr. Daniele Di Pauli**, Psicologo e psicoterapeuta
Il fatto che i virus non facciano discriminazioni mentre – a farle, purtroppo, sono le persone, è diventato chiarissimo proprio durante la corrente pandemia di Coronavirus 2019 (SARS-CoV-2). Lo stigma sociale, nel contesto della salute o l’associazione negativa tra una persona o un gruppo di persone che condividono determinate caratteristiche e una specifica malattia, ancor più della malattia stessa, ha una lunga storia alle spalle che attraversa generazioni, società e culture.
Combattiamo l’obesità, non le persone con obesità
Nel numero di maggio 2020 della prestigiosa rivista scientifica The Lancet Diabetes & Endocrinology è stata pubblicata una raccolta di articoli con l’intento di aumentare la consapevolezza sullo stigma e i pregiudizi legati all’obesità e proporre alcune modalità per cercare di scardinarlo.
I risultati di un sondaggio di una ricerca multinazionale, riportato da O’Keefe e colleghi, indicano che lo stigma relativo all’obesità è diffuso sia tra la popolazione in generale che tra i professionisti della salute (HCP). La maggior parte degli intervistati tendeva a confondere l’obesità con la pigrizia, la mancanza di volontà e riferiva di credere che l’obesità potesse essere prevenuta o curata semplicemente con un “briciolo di volontà” e un maggior impegno per uno stile di vita più sano. Basterebbe smettere di mangiare in modo smodato. Tutto lì!
Le risposte raccolte suggeriscono che molti professionisti della salute non hanno una corretta comprensione dei complessi meccanismi biologici che regolano appetito, senso di sazietà e peso corporeo e dei fattori genetici e ambientali che contribuiscono allo sviluppo dell’obesità. In alcuni casi, la scelta delle parole e del tono utilizzati nelle risposte rafforzavano perfino i pregiudizi e lo stigma che già pesano sull’obesità.
Questi risultati sono stati confermati dal recente studio multicentrico ASK (Attitude, Stigma and Knowledge Study) condotto dal prof. Francesco Rubino e Coll, Chirurgia Bariatrica e Metabolica del King’s College Hospital, London, UK per valutare le conoscenze della popolazione sulle cause e i trattamenti dell’obesità e per sondare l’associazione tra false credenze sull’obesità, stigma sul peso e atteggiamenti verso il trattamento e la ricerca.
I risultati dello studio hanno evidenziato un importante gap tra le più recenti evidenze scientifiche sull’obesità e il diabete tipo 2 e le conoscenze sia della popolazione generale sia dei professionisti della salute. Molti tra i partecipanti all’indagine hanno infatti dichiarato di aver sempre pensato che sia diabete tipo 2 sia obesità possano essere totalmente prevenuti e perfino curati semplicemente aderendo e mettendo in atto delle scelte di vita più salutari da parte delle persone con obesità [tra la popolazione generale ne sono convinti il 79% (diabete) e il 73% (obesità); tra dei professionisti della salute, il 57% e il 54% rispettivamente per diabete e obesità].
Il ritenere una condizione sotto il controllo personale è uno dei fattori principali che contribuiscono ad alimentare lo stigma verso l’obesità.
Questi risultati sono una ulteriore conferma dell’importanza di iniziative educative mirate a colmare tali lacune di conoscenza. Anche in ambito della chirurgia bariatrica, viene spesso denunciato dai pazienti lo stigma verso di loro da parte di professionisti della salute da cui ci si aspetterebbe maggiore sensibilità. C’è molto da fare anche in quest’ambito. Queste evidenze, supportate da diversi studi recenti, potrebbero almeno in parte spiegare l’ancora troppo scarso ricorso alla chirurgia bariatrica – considerata in modo unanime dal mondo scientifico – la risorsa più efficace per il trattamento dei pazienti con obesità patologica o diabete tipo 2 rispetto a quanti sarebbero candidabili.
Tuttavia questa risorsa è spesso vista dalla popolazione in generale, ma anche da alcuni professionisti della salute, come una scorciatoia e un intervento che si potrebbe evitare se la persona si impegnasse di più e volesse veramente cambiare.
Ecco perché rispetto alla chirurgia bariatrica, il paziente con obesità si può trovare tra due fuochi e cioè condannato per una malattia “che non ha scelto” e condannato per cercare “con l’intervento” di migliorare la sua salute “che ha scelto”.
Il linguaggio e la comunicazione sono incredibilmente importanti in ambiente sanitario. Una “buona” comunicazione supporta e alimenta una “buona” adesione e motivazione del paziente alle cure.
D’altra parte, i professionisti della salute si trovano in una posizione unica, sono una figura cruciale, si potrebbe dire strategica per aiutare ad affrontare e sciogliere lo stigma dell’obesità. Per favorire un cambiamento nell’approccio alla patologia. Albury e colleghi, a nome del gruppo di lavoro The Language Matters, hanno identificato una serie di parole che dovrebbero essere evitate in ambiente sanitario e suggeriscono approcci alternativi non stigmatizzanti per i professionisti della salute per poter avviare e sostenere un dialogo costruttivo sull’obesità sia tra colleghi che con i pazienti. È importante sottolineare che le raccomandazioni proposte dal gruppo di lavoro The Language Matters attingono anche dall’esperienza diretta delle persone che vivono con l’obesità, che fanno parte del gruppo stesso.
Il linguaggio che usiamo, anche in ambiente sanitario, svia l’attenzione dalle vere cause dell’obesità, nutre lo stigma, inganna e vanifica gli sforzi per prevenirla e rende più difficile perdere peso per le persone che ne soffrono, anzi alimenta il loro vuoto affettivo e la tentazione di riempirlo con il cibo.
È la discriminazione la valenza negativa dello stigma
Non si emargina soltanto il soggetto ritenuto pericoloso o poco affidabile, spesso si emargina anche il diverso o colui che non si adatta perfettamente ai canoni seguiti dalla maggior parte delle persone. Sebbene il discredito, i pregiudizi relativi alla salute siano un fenomeno diffuso, alcune malattie – come l’obesità – sono più stigmatizzate di altre.
In un commento che contrappone le differenze nella narrazione usata per il cancro e l’obesità nel Piano a lungo termine del Servizio Sanitario Nazionale del Regno Unito, Stuart Flint riflette su come le conversazioni sul cancro usino sempre un tono di speranza e ottimismo, mentre il linguaggio usato per discutere sull’obesità è greve, negativo e pessimistico.
Lo stigma legato alla salute rappresenta un ulteriore onere per coloro che sono più fragili
Le persone con obesità che si sentono stigmatizzate a causa del loro peso entrano in un circolo vizioso e cercano di colmare con il cibo la loro frustrazione, il loro vuoto affettivo, il bisogno di attenzioni… Spesso una voragine che per un attimo solo il cibo riesce a colmare. “Più grande è il vuoto dentro di me e più ho fame” mi sento spesso dire dai miei pazienti. Un comportamento che sfocia spesso in disturbi d’ansia e depressione, in questo periodo peggiorati anche dall’emergenza Coronavirus.
Lo stigma può anche portare a una maggiore difficoltà di accesso alle cure o alla prevenzione dell’assistenza sanitaria nei gruppi che sono già a maggior rischio di esiti negativi per la salute.
I pazienti con obesità sono persone più vulnerabili, soggetti a maggior rischio per alcune malattie croniche come il diabete di tipo 2, l’ipertensione, la dislipidemia e altre oltre ad alcuni tipi di cancro, come il cancro del colon-retto, ma hanno meno probabilità di sottoporsi a visite mediche o ad esami come sigmoidoscopia o colonscopia a causa della paura, dell’imbarazzo o della vergogna per il loro peso.
Alcuni studi hanno dimostrato come soprattutto le donne in una condizione di obesità evitino importanti screening di prevenzione per alcuni tipi di cancro.
Lo stigma relativo alla salute si diffonde in lungo e in largo
Spesso politici e media – in tutto il mondo – usano un linguaggio stigmatizzante quando affrontano e riportano i vertiginosi tassi globali di obesità. Anche amici e famiglie possono, spesso inconsciamente, associare un peso eccessivo alla mancanza di autocontrollo e/o al fallimento quando comunicano con qualcuno con obesità.
Nei media lo stigma è bene visibile nelle immagini che accompagnano le notizie che spesso ritraggono gli adulti, ma anche bambini con obesità, in comportamenti stereotipati (es. mangiare cibo spazzatura o stravaccati sul divano) o rappresentano solo parti del corpo disumanizzando la persone e la sua malattia.
Anche le numerose campagne di salute pubblica che si sono succedute in questi anni, hanno contribuito alla stigmatizzazione della stessa condizione di salute che miravano ad affrontare. Molte delle prime campagne di sensibilizzazione sull’HIV / AIDS hanno suscitato vergogna e paura e hanno minato, piuttosto che facilitato, strategie efficaci di prevenzione dall’infezione di HIV.
Nel 2009, il Ministero della Salute inglese ha lanciato la campagna Change4life, la prima campagna nazionale di marketing sociale contro l’obesità. Change4Life si è concentrata di più sui messaggi sugli stili di vita salutari, piuttosto che direttamente sul peso o sull’obesità. Tuttavia, la scelta dello slogan “mangiare bene, muoversi di più, vivere più a lungo” è stata fortemente criticata per aver indebolito l’obesità quale malattia cronica multifattoriale, facendo passare il messaggio – piuttosto superficiale – che tutti possano permettersi scelte salutari.
Sempre il ministro della salute inglese Anne Milton suggerì di utilizzare il termine “grasso” e non “obeso” per motivare le persone con obesità a perdere peso.
Inoltre, l’ente benefico Cancer Research UK ha ricevuto critiche per le loro campagne di sensibilizzazioni che hanno messo a confronto l’obesità con il fumo, per enfatizzare il legame tra obesità e cancro.
La campagna perfetta per sensibilizzare la popolazione sull’obesità potrebbe non esistere, ma è diventato ormai più che evidente che lo stigma, i pregiudizi e la comunicazione basata sulla paura come motore per cambiare comportamento sono inefficaci quando non addirittura dannosi.
Lo stigma relativo alla salute è un fattore determinante per la salute sociale, persino politica
Essere sprezzanti o sbrigativi su questa tematica non è più un’opzione accettabile. “Speriamo – si legge nell’Editoriale di The Lancet Diabetes & Endocrinology” del mese di maggio – “che rompendo il silenzio sul problema dello stigma e della discriminazione che pesano sulle persone con obesità, si possa aumentare la consapevolezza di tutta la popolazione, a tutti i livelli tanto da ridurne gli effetti dannosi, anche se riconosciamo che i piccoli sforzi e la buona volontà sono del tutto insufficienti per un atteggiamento così radicato. Eradicare questo stigma richiederà nuovi programmi di educazione, formazione e autoconsapevolezza oltre a cambiamenti significativi e duraturi nel comportamento della comunità e del singolo individuo”, per approcciare finalmente in modo nuovo e globale l’obesità come malattia complessa e multifattoriale da cui si può guarire con l’impegno di tutti perché tutti, in modo diretto o indiretto siamo coinvolti.
Abbiamo fatto passi da gigante nel ridurre le malattie legate al fumo e stiamo iniziando a invertire la tendenza sull’abuso degli alcolici. L’obesità ha bisogno di un approccio simile e di un cambiamento ancora più radicale negli atteggiamenti di tutti noi, perché al momento il linguaggio, la narrativa e le immagini associate all’obesità stanno solo peggiorando le cose.
References
- Editorial – Obesity-related stigma—hiding in plain sight. The Lancet Diabetes & Endocrinology, Volume 8, Issue 5, p349, May 01, 2020
- Majella O’Keeffe, Stuart W Flint, Krista Watts, Francesco Rubino – Knowledge gaps and weight stigma shape attitudes toward obesity. The Lancet Diabetes & Endocrinology, Volume 8, Issue 5, P363-365, May 01, 2020
- Charlotte Albury, DPhil , W David Strain, MD et al – The importance of language in engagement between health-care professionals and people living with obesity: a joint consensus statement. The Lancet Diabetes & Endocrinology, Volume 8, Issue 5, P447-455, May 01, 2020
- Language matters when talking about weight
- Tim Lobstein – The language of obesity just makes matters worse. Nature Human Behaviour volume 2, page165(2018)
* Il dr. Daniele Di Pauli è Psicologo e Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale
Svolge la libera professione tra Verona e Trento. Docente di terapia cognitivo comportamentale dell’obesità presso l’Associazione di Psicologia Cognitiva APC e membro della Commissione Scientifica della SIO, Società Italiana dell’Obesità. Ha collaborato e collabora, in qualità di consulente con diversi Centri di riferimento per il trattamento dei DCA, Disturbi del Comportamento Alimentare. Si occupa da anni della tematica dello stigma verso l’obesità e del trattamento delle persone che ne soffrono. Su questo argomento cura la pagina facebook “Peso Pregiudizio e Stigma verso l’obesità”.