“Perché non esistono due obesi con lo stesso trascorso, con le stesse emozioni e lo stesso dolore. E la psicoterapia è un rapporto molto simbiotico fra psicologo e paziente. Un rapporto che non può che essere strettamente personale.”

Marina Biglia, Presidente in carica dell’Associazione Insieme Amici Obesi No Profit

 

orrei che a parlare fossero due esperienze di due amiche del forum.
Una psicologa e una laureanda in psicologia.

Ed ecco Lia, fra noi da alcuni anni, il cui apporto in termini di sensibilità e di competenza professionale è indubbiamente innegabile: «Se volessi rappresentare con delle immagini la mia storia di obesa dimagrita, ne userei due. La prima è di poche settimane fa; mi vedo seduta in terra sul pavimento del salotto, accovacciata sulle ginocchia e c’è del gran disordine intorno.
È recente, quindi sono magra. Devo ancora sistemare delle casse di libri, provvisoriamente in cantina dal trasloco di tre anni fa.
È una domenica d’inverno, mi decido e inizio a tirar fuori quei volumi, dei quali ormai non mi ricordavo più. Sono decine di libri sulle diete, sugli alimenti, sulle terapie psicologiche, sull’obesità, sull’attività fisica, testi scientifici, e narrativi, opuscoli informativi, fumetti, materiale serio e ciarlatanerie, farmaci e agopuntura, dispense dei vari specialisti che ho frequentato. Ho un campionario di quasi tutto quello che è stato scritto negli ultimi venti anni sull’obesità.
Provo a metterli in ordine, sono davvero tanti, riempio due scaffali: 180 centimetri lineari di scienza. Accidenti! Come è possibile che io avessi letto, anzi studiato, tutto questo materiale senza ricavarne alcuna utilità?
L’immagine di me, sul pavimento con tutto questo disordine intorno, rappresenta bene quello che è successo tre anni fa, quando, esasperata dal non trovare una luce, decisi bene di tenere tutto nascosto fuori dalla vista. Il trasloco era una scusa eccellente per portare via tutta quella roba inutile. Via, in cantina, poi ci penseremo.
Ricordo bene lo stato d’animo di allora. Ero delusa, sfinita, esasperata dalla mia incapacità, rassegnata a sopportare la mia malattia come inevitabile, immodificabile, intimamente convinta di esserne colpevole.
Uno dei motivi del cambio di casa era che non potevo più vivere in una casa con tre piani di scale interne; era una sofferenza quotidiana, che sarebbe andata peggiorando di giorno in giorno. Avevo fantasie di vecchiaia, di immobilità, di sedie a rotelle, immaginavo una badante che mi dovesse accudire. Cambiai casa e nella nuova, tutta su un piano, feci togliere la vasca idromassaggio, non avrei mai potuto usarla… lasciai solo la doccia. Ero rassegnata a un futuro da obesa.
Ma c’era qualcosa che non tornava, era contro natura questo lasciarsi andare e infatti un istinto positivo, un desiderio di volersi bene, uno slancio vitale mi spinsero a prendere iniziative, ad andare in una direzione che non avrei mai pensato di seguire.
Era una vera e propria ribellione. Io volevo aiutarmi ed essere aiutata; si andava formando dentro di me, in modo più chiaro, quale fosse l’aiuto di cui avevo bisogno. Cominciai a mettere a fuoco il problema e ad individuare le soluzioni, così prese forma un percorso sensato. Ero pronta, anche senza avere in bella vista i miei libri.
Avevo bisogno di rompere il circolo negativo, una spirale di negatività crescente che mi portava a non fare le cose giuste. La chirurgia bariatrica ha rappresentato proprio questo, per me. È stato molto difficile accettarlo, sono una psicologa e mi sentivo di tradire la mia formazione. La contrapposizione tra un approccio “tecnico” ed uno “psicologico” ha rappresentato per me un ritardo nel focalizzare la soluzione di almeno 10 anni.

La seconda immagine che visualizzo è invece quella di me quattro anni fa, davanti al grande specchio della camera da letto. Sono lì, con la mia magliettona, pantaloni di una tuta larga, grande, ovviamente il tutto rigorosamente nero. Sembro un giocatore di rugby Maori. Mi ricordo così, imponente e massiccia. Solo adesso mi rendo conto che quell’immagine era una falsa percezione di me. Mi sentivo forte, una ragazzona robusta di 100 chili, ma non era la verità; solo ora, che il grasso non c’è più, so che il mio polso è minuscolo, ho le misure di una bambina, sono anche bassina eppure mi sentivo un mastino. Racconto questo per dire di quante false percezioni, quante convinzioni sbagliate un obeso riesca a costruire intorno a se stesso. E sono una parte della malattia, perché non vedere quello che oggettivamente gli altri vedono bene, è un bel pezzo del problema. Come quando racconti che mangi “come un uccellino” e invece non è vero. Adesso so quanto mangia una persona normale, come me, adesso che ho uno stomaco rimpicciolito.
Prima mangiavo come un adolescente maschio in crescita, anzi spesso le mie quantità erano addirittura superiori a quelle di mio figlio. Ma non me ne rendevo conto.
Il mio percorso cominciò quando misi a fuoco il fatto che non potevo trovare una soluzione fuori di me già pronta.
Si, è vero, un bypass gastrico mi ha aiutato a perdere un sacco di chili; ma pensare che la guarigione inizi e finisca in sala operatoria è sbagliato. Ho cominciato a smascherare le false idee che mi faceva comodo rappresentare per rimanere nell’immobilità; era vero che avevo i geni di mia nonna e di mia zia, ma non era una sorte ineluttabile, io potevo modificare il “destino”.
Ecco, credo che il passaggio fondamentale sia questo: arrivare ad avere abbastanza forza e fiducia da pensare che possiamo cambiare, almeno in parte, la nostra vita, che non esiste un destino scritto. Per qualcuno è più facile, per altri meno, ma si può sempre agire sulla propria vita; ovvio che avere degli strumenti efficaci è indispensabile. Nel mio caso l’inizio è stato un intervento di chirurgia bariatrica, ma io sono dell’idea che ognuno costruisca il proprio percorso e non esistano soluzioni buone per tutti.
La mia storia non è particolarmente originale, ce ne sono tante simili.
Ma io ho sofferto molto per la contrapposizione tra le soluzioni che mi venivano proposte ed ho deciso di lottare contro questa situazione. Solo recentemente c’è condivisione, almeno teorica, tra gli specialisti, sul fatto che l’approccio all’obesità deve essere multidisciplinare. A parte poche isole felici, la realtà vissuta è ancora lontana da questo, ancora leggiamo nel nostro forum storie di persone che cercano soluzioni, e trovano risposte parziali, invece di costruire un percorso.
Il mio personale percorso mi ha portato a costruirmi un profilo professionale completamente dedicato ai miei amici obesi, che così intimamente comprendo in ogni sfumatura di emozione e di comportamento. La contrapposizione tra approccio chirurgico, psicologico e dietologico ha rappresentato per me un freno alla soluzione del mio problema di salute e contro questo ho deciso di lottare con tutte le mie energie.

Per chiudere: se uno è stato obeso, lo sarà sempre. Non solo perché rischia sempre di riprendere peso, perché riusciamo a correggere i comportamenti, comprendiamo esattamente le emozioni di un obeso, ma certe cose non si dimenticano mai; e chi riesce a vincere la guerra contro la bilancia, dovrebbe mettersi a disposizione di chi ha bisogno di aiuto.
Io non posso dimenticare che una parte importante della mia “guarigione” è stata la rete di relazioni che è nata intorno al nostro forum.
Ho avuto tanto e tanto devo restituire. Questa è una dichiarazione d’amore per i miei amici. I miei amici obesi, ovvio.»

 

Leggiamo le parole di Federica, a due passi dalla laurea in psicologia, e con un’inclinazione naturale, che mi auguro diventi anche professionale, nell’operare nel mondo dei disturbi del comportamento alimentare:
«Ho un ricordo particolarmente doloroso del mio essere obesa.
Sono una donna di 34 anni circa, e peso 140 kg (in seguito toccherò il ragguardevole traguardo di 152 kg distribuiti su 167 cm di altezza). Sto lavorando, e la mia è una figura professionale che implica una certa autorità, un punto di riferimento per l’utenza del servizio presso il quale lavoro. Mi trovo dinanzi a un gruppo di persone, tra le quali c’è un mio vecchio conoscente della tarda infanzia. Mi guarda e, credendo di avere il diritto di constatare ad alta voce quello che vede, osservando il mio corpo, dice ad alta voce: “Ma fai proprio schifo. Guardati, fai davvero schifo!!”.

Ricordo che mi si è bloccato il respiro. L’ho guardato in faccia, quasi a implorarlo di avere pietà di me, in quella situazione, ma non è servito, perché lo ha ripetuto più volte. Purtroppo la mia dignità, il rispetto che avevo per me stessa erano talmente bassi da impedirmi di difendermi perché, in fondo in fondo, credevo che lui avesse ragione.
Ho inoltre ben chiara una sensazione, legata a ogni singolo giorno del mio essere obesa: il senso di totale assenza di speranza. Se pensavo al mio futuro, mi vedevo inevitabilmente grassa, sempre più grassa, senza via di scampo, incapace di trovare la forza di reagire alla malattia che mi stava distruggendo.

Avevo già sentito parlare della chirurgia bariatrica, ma la vedevo una cosa irraggiungibile, e che comunque non faceva al caso mio. Continuavo a mentire a me stessa dicendomi che, alla fine, bastava un po’ di forza di volontà e che non avrei dovuto ridurmi a un intervento chirurgico per poter perdere peso.
Non so quando ho deciso che ne avevo abbastanza e che stavo buttando anni di vita sperando che, tutto ad un tratto, sarei stata più forte della malattia. Non c’è stato un episodio scatenante. È stato, piuttosto, un lento accumulo di piccole grandi sofferenze, che hanno raggiunto un limite che non potevo più tollerare. Allora decisi che non potevo più permettermi di vivere una vita a metà, che non potevo più sprecare la mia vita in quel modo.
Sono passati 3 anni e mezzo circa e quasi 60 chili da quel momento. È inutile dire che la mia vita è cambiata, soprattutto nel coraggio di osare, di desiderare, di credere di meritare qualcosa di meglio per me stessa. Ora so che non faccio schifo, e so che non facevo schifo nemmeno allora!

Attualmente sto dedicando tutta me stessa a un progetto: sto per laurearmi in psicologia, e mi piacerebbe cambiare il lavoro che attualmente svolgo per poter diventare una psicologa ed aiutare le persone che, come me, hanno dovuto combattere una vita intera contro il cibo ed il proprio corpo. Casualmente, la mia tesi di laurea tratta degli aspetti psicologici della chirurgia bariatrica. Ma di certo è solo un caso!
Mi piacerebbe poter sfruttare la mia esperienza di vita nella professione che, auspicabilmente, andrò a svolgere (non so se ci riuscirò mai, ma ho una forte determinazione in tal senso, e spero di vincere io!).

Credo che il fatto di essere stati obesi possa essere un valore aggiunto.
Innanzitutto perché, ed è ovvio, ho provato sulla mia pelle la frustrazione, le difficoltà, le sconfitte che l’obesità porta con sé e, benché ciascuno viva ogni emozione a modo suo ed è alquanto arrogante pretendere di capire l’altro solo in base alle nostre emozioni, posso forse condividerle in modo più profondo. Posso capire quando qualcuno parla della frustrazione e del senso di fallimento che si prova nell’andare da un dietologo che ti prescrive una dieta drastica che fallisce inesorabilmente, perché ho capito, vivendolo sulla mia pelle, che, anche dopo anni di bypass, un regime alimentare drastico mi risveglia i sintomi dei disturbi alimentari dei quali ero affetta.
È da anni che si sa che un regime dietetico drastico è uno dei fattori di rischio collegati all’insorgenza dei disturbi alimentari, eppure è frequente che ci si limiti a curare l’obesità con una dieta, senza alcun supporto psicologico, il che porta nella stragrande maggioranza dei casi ad un fallimento ed alla condanna del paziente che ha la colpa di non aver avuto sufficiente forza di volontà.
Soprattutto, può essere utile la mia consapevolezza di non essere guarita e che mai lo sarò: che la mia sarà una lotta che dovrò vincere quotidianamente, e che le soluzioni che troverò potranno, forse, essere di aiuto a qualcun altro. La chirurgia bariatrica ti dà una grossa mano, ma il lavoro vero, quello che ti permette di mantenere i risultati nel tempo attraverso un cambiamento dello stile di vita, quello spetta a noi.»

 

Marina Biglia
Presidente in carica dell’Associazione Insieme Amici Obesi No Profit

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