Si chiama uromodulina, la proteina presente nelle urine che uno studio italiano ha collegato a un aumento del rischio di sviluppare nel corso della vita ipertensione e danno renale; lo studio, finanziato da Telethon, è stato condotto da un gruppo di ricercatori coordinato da Luca Rampoldi dell’Istituto Telethon Dulbecco della Fondazione San Raffaele di Milano, responsabile dell’Unità di Genetica Molecolare delle Malattie Renali dell’Istituto San Raffaele.
L’équipe sta studiando da anni una malattia renale rara, provocata da un difetto del gene che contiene le informazioni di questa proteina, la più abbondante presente nelle urine, ma la cui funzione biologica non è ancora stata chiarita, nonostante oltre cinquant’anni di ricerche; quello che è stato finora accertato dai modelli murini (condotti su topi ndr), è che un aumento della produzione di uromodulina provoca ipertensione già in età giovanile, ma che i valori pressori rientrano nella normalità semplicemente diminuendo l’apporto di sale nella dieta.
Ora, lo studio italiano, che è stato condotto insieme a un gruppo di ricercatori coordinati da Olivier Devuyst, direttore dell’Istituto di Fisiologia dell’Università di Zurigo, ha scoperto le basi biologiche dell’associazione fra la proteina e l’aumento del rischio di ipertensione e danni renali, combinando studi di ricerca di base su modelli cellulari e animali, con la ricerca clinica su coorti di pazienti. Allo studio hanno collaborato anche altri team: quello di Paolo Manunta, direttore della Scuola di Specializzazione in Nefrologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano per l’ambito clinico, quello di Maria Pia Rastaldi dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano per gli studi di patologia renale, e, per gli studi epidemiologici, un consorzio formato dalle università Berna, Ginevra, Losanna e Zurigo.
Spiega Rampoldi: «Analizzando decine di biopsie renali e centinaia di campioni di urine di persone con pressione arteriosa e funzionalità renale normali, abbiamo osservato che i livelli di uromodulina variavano in base a precise sequenze del Dna; in particolare, le persone che avevano delle varianti in grado di metterle ’a rischio’ di pressione alta o danno renale, producevano molta uromodulina, viceversa, i portatori delle varianti protettive. Ci siamo quindi chiesti in che modo un livello alto di espressione del gene dell’uromodulina potesse portare a un aumento del rischio di sviluppare ipertensione o danno renale nel corso della vita. La nostra ipotesi è che questa proteina favorisca il riassorbimento di sale e acqua a livello renale, con un meccanismo che abbiamo parzialmente identificato; alti livelli di espressione provocano un maggiore riassorbimento di sodio, potenziando l’azione di una specifica proteina di trasporto localizzata nel rene, e questo si traduce in un aumento della pressione sanguigna. La prova? Somministrando un potente diuretico, che ha come bersaglio proprio questo sistema di riassorbimento, abbiamo riscontrato un maggiore effetto del farmaco sulla pressione negli animali ‘superproduttori’ di uromodulina».
Aggiunge Manunta: «Lo stesso meccanismo sembra essere conservato anche nell’uomo; pazienti ipertesi trattati con lo stesso diuretico hanno infatti mostrato una riduzione significativa della pressione solo se portatori delle varianti genetiche associate a una maggiore espressione di uromodulina. Questo studio è un chiaro esempio di ricerca traslazionale, perché sono stati trasferiti i risultati ottenuti nei modelli sperimentali alla pratica clinica sul paziente con ipertensione arteriosa, grazie all’interazione fra ricercatori e medici, caratteristica del San Raffaele. In accordo con una versione sempre più personalizzata della medicina, questo lavoro mostra come la genetica possa aiutare nella scelta di terapie mirate per l’ipertensione arteriosa, più efficaci e con meno effetti collaterali».
Conclude Rampoldi: «Il nostro studio rappresenta non solo un contributo significativo alla comprensione del funzionamento dei nostri reni, ma contribuisce a chiarire quali siano i complessi meccanismi alla base di malattie comuni quali ipertensione e malattia renale cronica, suggerendo interessanti applicazioni su ampia scala; apre infatti la strada allo sviluppo di farmaci per l’ipertensione che abbiano come bersaglio l’uromodulina o altre molecole coinvolte nel meccanismo regolato da questa proteina, su cui c’è ancora molto da scoprire».
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista americana Nature Medicine.
Fonte
Matteo Trudu et al – Common noncoding UMOD gene variants induce salt-sensitive hypertension and kidney damage by increasing uromodulin expression. Nature Medicine, 3 novembre 2013