“C’era una volta……” e come tutte le favole che si rispettano anche questa inizia così, ma la storia che vi racconterò oggi è una favola alla rovescia.
La protagonista è una bella ragazza, felice e spensierata, amata e coccolata dai suoi genitori, che incontra un principe addormentato, lo bacia e come d’incanto lei si trasforma in una ranocchia. Ma torniamo un passo indietro per capire come avvenne la mutazione della ragazza dopo l’incontro con il principe.
L’infanzia della giovinetta brillava come i suoi grandi occhi, fino all’età di 20 anni visse felice con l’amorevole famiglia nella quale la comunicazione, i sorrisi e l’allegria non mancavano mai.
La sindrome della crocerossina
Poi l’incontro con il principe, che di azzurro aveva solo il colletto della camicia, parlava poco e non rideva mai, e quelle poche volte che lo faceva nessuno lo capiva.
Ed ecco che scatta qualcosa nella ragazza, nella sua indole da crocerossina elabora un progetto “Io ti aiuterò a cambiare” e nonostante avesse capito la diversità di carattere e stile, non indietreggiò davanti alla possibilità di soccorrerlo.
Tuttavia, in quel periodo qualcuno la mise in guardia cercando di convincerla a non imbarcarsi su quella nave che alla prima tempesta sarebbe naufragata, ma lei non ascoltò nessuno e continuò il viaggio.
Sposò il principe, costruì con lui un nido d’amore, diede alla luce due bei maschietti e visse molti anni apparentemente felice, senza accorgersi che “quel bacio” l’aveva trasformata in una deforme ranocchia.
Le lacrime, i tradimenti, i silenzi, le spezzarono l’anima, lottava ogni giorno per restare in equilibrio su una nave oramai naufragata. Ma non è facile accorgersi di essere sommersi negli abissi finché qualcosa non ti riporta alla luce ciò che eri e ciò che sei diventato nel corso degli eventi.
Il tempo passa e si perde di vista se stessi, intenti a sorreggere le pareti di un rapporto che non funziona, nato sulle fondamenta di un’incompatibilità di carattere e alimentato dalla vana speranza di cambiarlo a tutti i costi, ma alla fine l’unica persona che si trasforma è la protagonista della storia.
Così, da 52 chili di gioviale bellezza, ritroviamo la ragazza aumentare di peso un po’ per volta, lentamente e costantemente, senza troppi sforzi, senza eccessivi abusi, stava costruendo intorno a se una possente corazza per difendersi da quella vita che sopportava a stento. Crollata la torre doveva rafforzare le difese come meglio poteva.
Ma quella dinamica che aveva innescato la capì solo dopo molti anni, stava per compierne cinquanta quando il suo peso arrivò a sfiorare i 135 chili, raccolti tutti in un minuto corpo alto solo un metro e sessanta… scarsi.
Le diete? Le ho provate tutte, con scarso risultato
Ed eccomi qui, a raccontare oggi ciò che ho passato in quegli anni, dove ero più attenta a fare la crocerossina salva principi e molto distratta a osservare in che cosa mi stavo trasformando.
Ho provato a fare molte diete dimagranti, le conosco davvero tutte, non ho mai usato medicinali di supporto, ho incontrato dietologi e nutrizionisti, specialisti delle intolleranze alimentari, andai anche in un centro per i disturbi dell’alimentazione a Firenze, ma uscivo da ogni esperienza con una manciata di chili persi e poi di nuovo al punto daccapo, riprendendo ciò che perdevo con tutti gli interessi.
Dopo aver provato ogni novità per dimagrire, mi accorsi che ero entrata in sintonia con il disordine alimentare e avevo un rapporto sconfusionato con il cibo, tanto da arrivare al punto di mangiare una volta al giorno, a cena, sorreggendomi solo con un caffè a colazione e un cappuccino a ora di pranzo. “Eppure non mangio niente” ripetevo a tutti, ma in questo modo aumentavo di peso peggio di prima.
Nel frattempo rimasi sola, e da questo punto iniziai il viaggio per salvare me stessa
Mio marito andò via di casa, persi il lavoro, e finalmente mi ritrovai a fare i conti con il destino, dovevo tirare le somme e far quadrare il bilancio della mia vita. Lo ringrazio ancora oggi per essersi allontanato, perché stando da sola con me stessa mi sono messa di fronte al problema e ho iniziato a rendermi conto di quello che ero diventata e perché.
Ero a conoscenza che presso l’Ospedale Belcolle di Viterbo avevano aperto un centro per la cura dell’obesità, sapevo che era lì ma la pigrizia mi impediva di fare il primo passo.
Eppure di motivi ne avevo tanti per correre subito a fare la prima visita, ma come ho detto, la pigrizia prevaleva su tutte le patologie che mi erano sopraggiunte a causa dell’obesità. Mal di testa per pressione alta, iperinsulinismo, sindrome dell’ovaio microcistico, tachicardia, ritenzione idrica e cattiva circolazione, reflussi gastrici, questo assortito quadro clinico avrebbe dovuto convincermi a muovere il primo passo, ma io non lo facevo, ero malata di obesità e restavo inerme ad aspettare chissà quale miracolo.
Ricordo di essermi sentita stanca di lottare, ero sull’orlo di arrendermi, la mia mente correva veloce ma il mio corpo frenava lo slancio per risalire a galla, tra i due c’era troppo contrasto. Avevo toccato il fondo e fortunatamente chi mi era rimasto vicino se ne accorse prima di me.
Furono i miei figli ad aiutarmi a sbloccare quella situazione che giudicavo senza via d’uscita
Presero loro il primo contatto con il Dott. Bruni dicendomi “Mamma, ti abbiamo fissato l’appuntamento all’ospedale, tranquilla, ti portiamo noi con la macchina fino all’entrata così non ti stanchi e fai la visita per l’intervento”.
Già, dimenticavo, che in quel periodo non riuscivo neppure a camminare, due passi e mi stancavo subito, e i miei figli superarono anche questo ostacolo portandomi a braccetto fino al reparto del dottore a fare la visita.