La correlazione è connessa allo stato di infiammazione cronica che viene favorito dall’accumulo di grasso viscerale. Nuovi dati emersi al X° Congresso “No pain. Dolore come malattia e rete territoriale assistenziale” svoltosi di recente all’Ospedale Niguarda di Milano.
L’ obesità favorisce l’infiammazione e il dolore cronico. Lo ha sottolineato il prof. Michele Carruba, direttore del Centro di studio e ricerca sull’obesità dell’Università degli Studi di Milano, in occasione del X Congresso “Dolore come malattia e rete territoriale assistenziale”, organizzato da No Pain, l’Associazione Italiana per la Cura della Malattia Dolore, all’ospedale Niguarda di Milano.
Sino ad oggi era noto che l’obesità, soprattutto il grasso viscerale accumulato attorno alla fascia addominale, aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, prime manifestazioni di un sistema che non funziona. Studi recenti hanno anche documentato che l’obesità è associata anche a malattie tumorali, metaboliche, in primis il diabete (l’OMS ha perfino coniato il termine diabesità), renali, epatiche, osteoarticolari, come il mal di schiena del quale soffre il 50% degli obesi, dovuta all’eccesso di carico sulle articolazioni, disturbi respiratori ed apnee soprattutto notturne e molte altre malattie. Più di recente, inoltre, è stato evidenziato, che l’obesità determina uno stato d’infiammazione cronica che favorisce lo sviluppo di patologie dolorose. L’incremento è costante e in proporzione con l’aumento dell’Indice di Massa Corporea (IMC o BMI). Un recente studio ha rilevato che fra chi soffre di dolore cronico, il 36% ha una obesità lieve (IMC = 30-35), il 45% un’obesità media (IMC = 35-40) e il 70% un’obesità grave (IMC = 40-45).
Una condizione cronica di infiammazione, infatti, rappresenta un terreno fertile per lo sviluppo e l’instaurarsi del dolore. E’ stato, altresì dimostrato, che il dolore, in molte condizioni patologiche cessa di essere un sintomo cosiddetto “utile” in quanto favorisce la diagnosi della patologia primaria che lo provoca, trasformandosi in inutile sintomo e diventando esso stesso una malattia vera e propria.
«È colpa dei mitocondri» ha spiegato durante il congresso il prof. Carruba, direttore del Centro di studio e ricerca sull’obesità dell’Università degli Studi di Milano, «strutture cellulari dedicate al metabolismo energetico” indispensabili per la vita del nostro organismo. In pratica i soggetti con grasso viscerale hanno minore energia utile rispetto ai soggetti normopeso, perché i lipidi in eccesso rallentano la formazione di energia da parte dei mitocondri e favoriscono l’infiammazione cronica. Se tutto ciò che si introduce con la dieta non viene metabolizzato dai mitocondri, l’organismo entra in carenza di energia pur avendo una riserva che non può utilizzare. In questa condizione, il processo infiammatorio in atto si protrae nel tempo e tende a cronicizzarsi e a favorire patologie dolorose in varie aree del corpo, inclusa quella cerebrale che, gioco forza, induce la persona obesa a mangiare ancora di più.
“Le cellule adipose, infatti, – ha sottolineato il prof. Carruba – tendono ad ingrossarsi o a moltiplicarsi per l’eccessiva e cattiva alimentazione, accumulando grasso in eccesso; questo fenomeno richiama a sua volta i macrofagi, particolari cellule immunitarie che fungono da spazzini, che, non riuscendo a svolgere in pieno il loro lavoro di “pulizia”, producono ulteriori sostanze pro-infiammatrorie, determinando nel tempo il cronicizzarsi progressivo dell’infiammazione. Se si dimagrisce le cellule si assottigliano, i macrofagi non intervengono e la situazione si può sbloccare. E’ stato calcolato che un calo di peso tra il 5% e il 10% è in grado di ridurre in modo evidente o addirittura eliminare il dolore.”
Per evitare tutto questo circolo vizioso che porta alla comparsa di stati dolorosi generalizzati e cronici è, quindi, decisamente meglio non ingrassare e/o dimagrire, anche a piccoli passi. Ne deriveranno dei vantaggi anche per il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) che ogni anno spende 28 miliardi di euro per l’ obesità.
Prevenzione a parte, il dolore va comunque curato, come sancisce la legge 38, entrata a far parte del Patto per la salute nel 2010. Tuttavia, a distanza di 5 anni dall’introduzione di tale legge, che sancisce il diritto alla cura del dolore per tutti, in tutte le sue forme esistono ancora numerose carenze, come sottolineato da Paolo Notaro, presidente dell’Associazione No pain. In particolare, quello che manca è l’integrazione assistenziale con i medici di medicina generale, che rappresentano il primo anello della catena e anche la diffusione delle conoscenze alla popolazione. Proprio su colmare queste lacune occorrerà lavorare in tutti gli ambiti interessati nel futuro più prossimo.
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