Nato per il trattamento del diabete di tipo 2 ed efficace anche nella perdita del peso in eccesso, l’endobarrier rappresenta una delle ultime frontiere dell’endoscopia. Utilizza un rivestimento lungo 61 cm che, passando dalla bocca viene infilato su parte dell’intestino dove si ancora con 5 braccetti metallici che si fissano a livello del tubo duodenale. Abbiamo chiesto di approfondire l’argomento al Dr. Andrea Formiga, Responsabile del Centro Interdisciplinare Bariatria e Obesità (CIBO) degli Istituti Clinici Zucchi, e figura di riferimento in Italia per la tecnica dell’Endobarrier.
L’Endobarrier è una nuova procedura che associa una minima invasività a ottimi risultati a lungo termine. Nato come trattamento per la cura del diabete mellito di tipo 2, ha dato ottimi risultati anche nella terapia dell’obesità: durante l’anno di terapia con questo sistema si può arrivare a perdere fino a 20 chili. Sin dalle prime settimane, si nota una riduzione del senso di fame accompagnata da una progressiva perdita di peso.
L’Endobarrier è una metodica nata a Boston (GI Dynamics, Inc), USA e approvata da qualche anno in Europa dove è stata eseguita la maggior parte dei circa 3.500 interventi finora svolti, soprattutto in Belgio, Gran Bretagna, Spagna e Svizzera. Nel nostro Paese, sinora sono stati trattati una ventina di pazienti.
L’idea di fondo è simile a quella del più tradizionale intervento di bypass gastrico ovvero escludere una parte di intestino, in modo che non assorba gli alimenti. Nel caso del bypass si tratta di un intervento chirurgico invasivo irreversibile in cui si esegue una resezione dello stomaco e dell’intestino; nel caso dell’Endobarrier, l’intervento avviene totalmente per via endoscopica, è molto meno invasivo, reversibile in qualsiasi momento, efficace e con una notevole riduzione dei rischi collegati.
Il sistema endobarrier nasce per il trattamento del diabete mellito di tipo 2 (DT2) e agisce anche sul calo ponderale. Secondo le indicazioni condivise dalle diverse società mondiali che si occupano di obesità e diabete di tipo 2, il sistema endobarrier trova la sua applicazione migliore nel diabete di tipo 2 di recente insorgenza. Le forme pluriennali sono spesso più resistenti. Comunque provare non nuoce considerata la relativa invasività e reversibilità del sistema. Per i pazienti obesi con diabete di tipo 2, la Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità (SICOB) sta abbassando il limite dell’operabilità anche ai pazienti diabetici con Indice di Massa Corporea ≥ 30.
Si, la preparazione è particolarmente accurata e con un approccio multidisciplinare, sovrapponibile a quella per interventi bariatrici più impegnativi, riservati a pazienti con obesità grave.
Si comincia con gli esami pre-operatori: elettrocardiogramma, esami del sangue, lastra del torace, visita cardiologica e pneumologica, con l’utilizzo della spirometria. Si passa poi alla visita con l’anestesista e quando necessario si fanno anche degli accertamenti endoscopici, come la gastroscopia. Terminata questa fase preliminare, il paziente incontra il team multidisciplinare che nel nostro Centro è formato da chirurgo bariatrico, nutrizionista, endocrinologo, psicologo, dietista ed eventuali altri specialisti, in caso di ulteriori necessità. Dopo varie consultazioni, è il team che individua l’approccio migliore per ciascun paziente.
Sotto controllo endoscopico, viene inserito attraverso la bocca un rivestimento tubulare di materiale plastico, lungo 60 cm, che andrà a ricoprire tutto il duodeno (la parte di intestino che inizia subito dopo lo stomaco) e la prima parte del piccolo intestino. L’involucro inserito impedisce il contatto degli alimenti con la mucosa del primo tratto intestinale, e quindi non consente l’assorbimento dei nutrienti. In pratica, l’Endobarrier simula un bypass gastrico, pur essendo un intervento totalmente reversibile. Non si taglia nulla ma avviene la stessa esclusione dell’assorbimento dei nutrienti dal duodeno e del primo tratto del digiuno ottenendo anche una notevole riduzione del senso di fame.
L’esatto meccanismo non è ancora chiarito completamente. Occorre innanzitutto considerare che nella prima parte dell’intestino (quella che viene avvolta dall’involucro dell’Endobarrier), sono normalmente attivati i due ormoni pancreatici: insulina e glucagone. Con l’inserimento del dispositivo, si verifica una rimodulazione di tali ormoni che consente un miglior controllo della glicemia, anche senza l’utilizzo di farmaci per il diabete: ipoglicemizzanti orali o insulina.
L’inserimento dell’Endobarrier comporta una degenza molto ridotta e questo rappresenta un altro vantaggio di questa metodica in molti casi. In genere, dopo 48-72 ore dall’intervento endoscopico – che dura circa 30 minuti, il paziente è in grado di lasciare l’ospedale. Il paziente deve essere ben istruito a fare molta attenzione alla masticazione, che dovrà essere più lenta per evitare che i cibi introdotti possano causare ostruzioni che implicherebbero un re-intervento.
L’involucro dell’Endobarrier viene fissato all’intestino grazie a dei gancetti metallici che, nel tempo, possono provocare un’infiammazione della mucosa duodenale, talvolta fino a farla sanguinare. É per questo che si preferisce rimuovere il dispositivo al massimo dopo un anno dall’inserimento.
In base all’attuale casistica raccolta, non compaiono vomito e nausea, abbiamo avuto dolori e naturalmente, essendo un sistema di intervento malassorbitivo, c’è la necessità nel post-intervento di integrare la dieta con vitamine, ferro, sali minerali e altri nutrienti che vengono monitorate nel follow-up.
I dolori a cui mi riferisco sono inizialmente provocati della progressiva distensione del sistema metallico di ancoraggio a livello del bulbo duodenale che genera una sorta di dolore sordo in ipocondrio destro che svanisce nel giro di qualche ora. Ovviamente la comparsa di erosioni e/o ulcere duodenali in corrispondenza di una ancoretta di fissaggio genera invece un dolore più forte e continuo che richiede un controllo chirurgico immediato.
Nei primi casi di estrazione dell’Endobarrier, in altri Paesi è comparsa un’esofagite a causa dell’erronea estrazione della capsula con i ganci che richiede una certa accortezza nello sfilamento, per evitare il rischio di abrasioni della mucosa. Il momento dell’estrazione è il momento più delicato di questo sistema ma con una buona esperienza è del tutto superabile. Le cosiddette “barbe”, ovvero i ganci di ancoraggio che permettono al sistema di fissarsi sulla mucosa del duodeno dopo essere state sganciate vanno attentamente chiuse all’interno di una protezione (“cap”) che viene messa sull’endoscopio in modo che durante l’estrazione non possano creare abrasioni alla mucosa dell’esofago e alla gola. Quindi è essenziale che questi ganci si trovino ben protetti all’interno del cap.
Il futuro dell’endoscopia bariatrica avanzata è rappresentato dall’unione di più trattamenti in maniera sequenziale o contemporanea (endobarrier + palloncino; oppure plicatura gastrica endoscopica + endobarrier, etc) in modo da avere il massimo dei risultati in termini di calo ponderale e di controllo glicemico, con minimizzazione dei rischi correlati alle metodiche impiegate. Questo conduce a una riduzione delle degenze e delle necessità di terapie intensive, riduzione delle complicanze, riduzione dei costi socio-sanitari. Negli USA dove le compagnie assicurative sono molto attente a questo tipo di conti, l’esperienza è già iniziata con ottimi auspici per il futuro.
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