“C’era una volta un bambino di nome Antonio che viveva con mamma e papà fino ai 7 anni, poi con un fratello in una casa in città nella periferia di un importante capoluogo.
Sono sempre stato paffuto da bambino e da adolescente, anche se grazie alla pratica del sollevamento pesi ho avuto poi una struttura anche piuttosto “quadrata” e, quando mangiavo, lo facevo con gusto, a volte solo per gola, altre solo per abitudine, altre ancora per vera e propria fame.
Se un visitatore esterno alla casa guardava il bambino, diceva che era “robusto”, pensando che essere “robusti” fosse indice di buona salute, secondo un luogo comune ben diffuso, mentre la famiglia, e in particolare mamma lo vedeva paffuto, ma tutto sommato in buona salute.
Gli abitanti della casa erano: papà snello e alto, mamma un po’ meno snella, ma mai troppo pienotta, fino all’età dei 50.
L’appetito di mio padre condizionava un poco il modo di mangiare a casa, che prevedeva sempre invariabilmente sia a pranzo che a cena, primo, secondo e contorno.
Il frigorifero era pieno di tutto, mentre la dispensa era piena di tutto tranne le merendine che oggi invece abbondano dovunque.
Capitava di mangiare fuori di casa molto raramente.
Il cibo era per questo bambino un appuntamento irrinunciabile e lo utilizzava per fame e piacere.
Il bambino giocava principalmente a tutti i giochi, in prevalenza quelli movimentati, dove poi emergeva la difficoltà a correre dietro agli altri bambini normopeso. Ogni tanto stava da solo, arrabbiato … perché non sopportavo gli appellativi degli altri bambini. Si muoveva fino ai 14 anni solo fuori casa e per gioco o svago.
Crescendo, il ragazzo divenne sempre più alto, fino a 178 cm, e sempre più grasso, fino a toccare un peso di 105 kg a 19 anni. Non c’erano dubbi: era diventato obeso. La prima persona a farglielo notare fu il medico sportivo.
La famiglia cominciò a dire che doveva mangiare di meno, facendolo sentire l’unico colpevole.
Da quel momento, iniziarono una serie di prove per far scendere l’ago della bilancia, dietro la decisione di mamma, che mi portò da un dietologo consigliatole da conoscenti e che mi fece prendere pillole che poi seppi essere derivati anfetaminici. Oltretutto non funzionarono nemmeno, ottenni di perdere poco peso e stare male.
Guardava le persone magre intorno a sé, si chiedeva: perché a me? Me lo chiedevo e desideravo essere magro.
Poi si domandò: la sua obesità era una malattia? Non considerai mai l’obesità come una vera malattia e probabilmente i miei genitori nemmeno, altrimenti si sarebbero mossi con maggiore assiduità.
Il primissimo appuntamento con un ESPERTO avvenne all’età di 25 anni, quando pesavo 115 kg. Mamma, mi portò da una bravissima dietologa che seguiva l’alimentazione delle donne in gravidanza: mi mise a stecchetto. L’ago della bilancia scese di 16 kg in 6 mesi. La via giusta sembrava presa.
Nel corso degli anni, il protagonista iniziò diverse diete, tra le quali diete solo a base di minestroni, diete dissociate, con o senza coadiuvanti vegetali (o presunti tali).
Inoltre visitò un certo numero di variegati “esperti” di diete: dietologi che mi misero degli elettrodi sulle dita determinando le mie intolleranze, omeopati, medici dello sport, molti dei quali adesso come adesso non so nemmeno dire se fossero veramente medici. Lo stesso medico di famiglia, che più che una dieta mi consigliò delle linee guida per alimentarmi correttamente, ecc.
Nel frattempo, la mia vita si era modificata: moriva mia nonna (madre di mia madre) e mamma incontrò molti problemi tali per cui non me la sentii di chiedere ancora il suo impegno per prepararmi tutto quello che dovevo mangiare per la dieta. Così dopo aver perso 16 kg interruppi. Però mi sforzavo di cercare di fare molto sport almeno per tentare di non risalire più. Nel frattempo il matrimonio e due bambine cambiavano la mia vita, che, insieme al lavoro, diventava sempre più stressante anche perché riuscii a perdere le poche buone abitudini che avevo. Il protagonista si sentiva incerto. Smisi di fumare e presi altro peso.
All’età di 36 anni raggiunse il peso più elevato: 198,9 kg…. Si sentiva di dover morire da un momento all’altro. E oltretutto morire infelice. Il suo corpo era stanco, affaticato, debole, respiravo male, avevo le apnee notturne ed episodi di narcosi diurna anche alla guida (ebbi due incidenti), piedi gonfi, morale ed autostima inesistenti, voglia di morire alimentata dalla certezza di dover morire presto.
Passava le sue giornate a aspettare nulla.
Quando usciva di casa, vestito di colore nero, per andare altrove prendeva l’auto. La folla lo guardava e lui si sentiva come un fenomeno da baraccone. E non avvertivo sentimenti positivi o di comprensione da nessuno, solo scherno. Trovandosi tra loro mi costringevo a sentirmi isolato per non cogliere nulla che mi potesse dare ulteriormente fastidio. Ero irritabile e prevenuto verso tutto e tutti.
Cercò un lavoro e successe che lo trovai molto prima, a 25 anni, e la bella presenza ma soprattutto il dinamismo ne sono da sempre una componente importante. Ma non potevo vestirmi come volevo, non potevo lavorare secondo quanto avrei voluto o dovuto, e pensò che il suo corpo pesante era una persona obesa avvinghiata al mio corpo già obeso.
Il suo sogno era riuscire a tenere in braccio le bambine e passeggiare con loro senza sentire dolori lancinanti alla schiena e l’affanno quasi immediato.
Le diete e le altre terapie non facevano effetto, oppure lo facevano per poco tempo, sempre più difficilmente, finendo sempre con il riportarlo (quasi) al massimo del suo peso. Non le pensavo più.
Ne ricordava una in particolare, quando sembrava che avesse raggiunto il risultato sperato. Dietro decisione di mamma, aveva cominciato a 23 anni la dieta seguito da una brava nutrizionista per donne in gravidanza. Il peso scese a 98 kg in 6 mesi. Si sentiva quasi come una farfalla, tanto mi sentivo bene. Oltretutto facevo molto sport, in quel periodo karate. Le sue giornate divennero serene. Ma il peso tornò nuovamente ad aumentare dopo il matrimonio.
La sua compagna reagiva all’obesità supportandomi a parole, ma con pochi fatti. Quando il peso calava, dopo le fatiche di una terapia, la compagna era sempre incoraggiante. Le figlie troppo piccole per capire il mio dramma, meglio così.
Ma un bel giorno, scoprì attraverso delle altre persone obese che forse c’era una speranza: esistevano esperti ancora più esperti attraverso una persona speciale con cui ho un legame di profonda riconoscenza e amicizia. Un tecnico di laboratorio, che era uno dei miei tanti clienti. Mi parlò dell’analogia tra me ed un suo cugini che lui fece incontrare col primario della medicina bariatrica e che dopo un intervento, era diventato più giovane di trenta anni e perso tutto il suo sovrappeso.
L’intervento chirurgico per il controllo del peso era la diversione biliopancreatica. Una possibilità che consideravo da tempo ma che tutti i medici osteggiavano. Tanto la dieta la dovevo fare io.
La persona decise che sarebbe stato opportuno – ormai obbligatorio – affrontare la sala operatoria.
L’ospedale si trovava nella sua città e lo aveva scelto perché consigliato dell’amico di cui sopra.
Prima di entrare in ospedale il primario mi ha sottoposto ad una serie di lunghe visite, colloqui ed analisi preliminari; gli disse, dopo averlo ascoltato, consigliato, messo a conoscenza dei pro e dei contro, quale operazione fare. Il giorno dell’intervento, si sentiva sereno … “come se già avessi già letto tutto il mio futuro. Difficile deprimersi ancora di più, se c’era una sola speranza, me la tenevo stretta e la facevo mia, sentendomi così estremamente fiducioso.”
Passato del tempo, la scelta dell’operazione si rivelò la mia seconda vita. Iniziata il 19 settembre 2002.
Poi però successe che ebbi un’unica complicazione (al confronto di tutto il resto una sciocchezza) vale a dire un esteso laparocele, corretto con un ulteriore intervento nel settembre 2005.
Il protagonista oggi si sente quasi al termine dell’opera. Da poco sto rieducando la mia alimentazione e sto perdendo ancora peso. Poi penserò alla plastica addominale. Sistemerò la mia spina dorsale sofferente e tornerò a fare sport. Peccato tutti questi anni perduti…. Ricorda la sua famiglia d’origine con gratitudine comunque, non mi hanno mai fatto sentire diverso da nessuno e col senno di poi hanno sofferto quanto me, senza che io me ne fossi potuto accorgere. E ora sono felici con me, ma questo lo vedo bene, perché ora sono cambiato io.
Ha deciso che si vestirà di tutti i colori, sono tutti belli, che della folla gli importa nulla, ora riesco a confondermici.
Ha deciso che lo specchio è Il mio guardiano e la bilancia è la mia coscienza.
Trascorre il suo tempo a vivere.
I suoi figli, se ne ha, sono: “ una magra ed atletica, la maggiore più alta per l’età che ha e ora piuttosto paffuta.” Quindi è ora di intervenire. Li nutre con affetto, “la mia vita è a loro disposizione in tutto e per tutto” e permette che giochino a tutto.” Giocare è un’abitudine che vorrei non aver perso. Ma penso che tornerà, e con essa il sorriso e la voglia di ridere che non so ancora ritrovare agli stessi livelli della mia gioventù. È vero che non è più il periodo della spensieratezza, ma è altrettanto vero che di motivi per ridere di cuore e di essere felice ne ho molti, forse più di quando avevo 20 anni. “
Il suo sogno oggi è raggiungere il peso e la forma che non ho avuto mai nella vita e succederà se… Non ci sono se. Succederà.
PESO 106
ALTEZZA 178
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