“La mia è una storia come quella di tanti, una storia che si intreccia con un grande amore conflittuale, quello per mia madre.”
Marina Biglia, Presidente in carica dell’Associazione Insieme Amici Obesi No Profit
ia madre era una donna fredda, con grosse incapacità affettive; ora che sono adulta so che mi ha amata come era capace di amare, ma questo cancella solo in parte il dolore di me stessa bambina. I ricordi che ho di lei sono solo tentativi di piacerle e di compiacerla, sconvolgimenti di personalità ed emozioni perché la mamma mi vedesse, perché la mamma mi amasse.
Avrò avuto 6 anni: ricevo per Natale un bellissimo cagnolino filo comandato. Come era bello, lo ricordo ancora oggi. Ero felice, lo avevo desiderato tanto. Ma arriva a casa nostra una suora, a fare un’iniezione a mia nonna, e vede il mio cagnolino e mi dice: “Tu sei fortunata, altri bimbi non hanno avuto nulla per Natale…” Mi sento immediatamente in colpa, sento che cosa si aspettano da me. La suora, la nonna e soprattutto la mamma.
Una parte di me urla no, ma l’altra vince e dona il cagnolino. Con un dolore pazzesco: ma doveva prevalere la brava bambina, la mamma doveva essere fiera di me.
Quanti cagnolini ho donato da allora? Migliaia. E sempre con dolore. La brava bambina doveva sempre emergere.
E fin da ragazzina pare chiaro che l’unico modo per farmi notare da lei, sia di diventare spaventosamente evidente agli occhi del mondo. Ingrassando. Non ne avevo coscienza allora. Una ragazzina non può capire che ingrassa per essere accompagnata da un dietologo e perché la mamma, nel metterla a dieta, le comunichi un interesse che può assomigliare ad una insana forma di amore.
Il primo dietologo da cui mi accompagna la mamma, le chiede: “Perché me l’ha portata, signora?”
Ho 17 anni e 3 chili di troppo. 3 spaventosi chili. 3 chili che mi separano dall’amore che bramo. Ma anche perdendoli, lei non sa amarmi.
Il controllo sul peso è gestibile fino ai 25 anni; fra alti e bassi, riesco sempre a rientrare in un range di peso ragionevole. Ma poi non ce la faccio più a gestire questo yo-yo, e i chili in più diventano tanti, troppi, infiniti.
E insieme a loro cresce la disistima di mia madre, il suo punzecchiarmi, e il mio mangiare di nascosto, di continuo, ad ogni occasione. Insieme a loro cresce il mio odiarmi, il mio disprezzarmi, il mio tentare di nascondermi e di diventare invisibile, il mio vestirmi solo di nero o di blu scuro perché il mondo non mi veda.
E da lì un vorticare di dietologi, endocrinologi, psicologi, dotti, medici e sapienti di ogni regione…
Menzogne su menzogne: menzogne a casa, menzogne agli amici, menzogne agli stessi “esperti del settore”;
grida di aiuto silenziose e disperate. Entrare in pasticceria e chiedere un vassoio di dolci, giustificandomi
addirittura con lo stesso negoziante, dichiarando di avere un numero imprecisatodi ospiti, quando, in realtà, avrei divorato ogni cosa da sola.
Gli anni passano e la rabbia e il dolore non si muovono dal mio cuore, e la coltre di grasso mi rende giustizia. Ero allegra e sorridente fuori, e morta dentro. È il classico, nervoso ed irritante “accontentarsi”, cedere a mille compromessi con te stessa per poche briciole d’a more, per non sentirsi soli.
Perché l’amore mancato della mamma ha scatenato una delirante ricerca affettiva, in ogni settore, ed ogni volta balza ai miei occhi solo la mia estrema necessità di dover dare di più, di essere spaventosamente presente, di mettermi da parte in nome di un altruismo che non è altro che una assurda forma di: “Guardatemi, io esisto!!!”.
Essere sempre “come tu mi vuoi”, una Marina che non corrisponde a quella sotterrata nel grasso. Perché Marina ha tanti NO da dire, ma non riesce mai a dirne nessuno, per il terrore che, pronunciandoli, possa perdere quella parvenza di amore.
E poi subentrano una serie di lutti familiari, di quelli gravi, di quelli che ti spaccano la vita in mille frammenti e ti domandi se mai riuscirai a superarli. A distanza di poco tempo, muoiono mio padre e mia sorella.
Mia madre si ammala, un male cattivo, un male che la imprigiona per sempre in una gabbia di vetro: morbo di Alzheimer. La madre con cui litigare, discutere, la madre con cui non sono mai riuscita a confrontarmi davvero, all’improvviso non c’è più. È diventata un mucchietto di ossa, è diventata una mano che cerca la tua, è diventata parole che restano in bocca e non escono più.
“Mamma dove sei, come posso raggiungerti?” In un ultimo sprazzo di luce mi risponde “E io come posso raggiungere te?”.
In questo periodo, alla disperata ricerca della bacchetta magica, che mi trasformi da obesa a normopeso alla velocità della luce, approdo, nel più casuale dei modi, sul Forum di Amiciobesi.
Mi si apre un mondo, e un pensiero inizia a ronzarmi in testa: io non sono sbagliata. O qui ci sono solo fenomeni da circo.
Non sono solo una mangiatrice compulsiva, ma sono una persona compulsiva in ogni atto della mia vita. Sono malata di compulsione a 360°. Decido di arrivare ad un intervento bariatrico, per la precisione il bendaggio gastrico, senza rimuginarci sopra, senza riflettere troppo, con la stessa velocità del pensiero.
Era il 2004. Sono libera, mamma non può più dirmi cosa è giusto o sbagliato per me. Sono arrivata a pesare quasi 130 kg. Alla luce di quello che ora conosco sul problema obesità, posso tranquillamente affermare di essere stata una vera idiota.
Cerco l’intervento meno invasivo, leggo poco, mi informo poco, voglio solo ed esclusivamente risolvere il problema peso, in fretta, senza minimamente considerare il come. Sto solo reiterando un comportamento mille volte già vissuto nel passato: sto sempre e solo cercando la bacchetta magica. Ma quella bacchetta è un po’ difettosa, evidentemente, e io perdo meno di una ventina dei molti più chili che avrei dovuto perdere.
Poi lo stallo, ferma come una roccia. Non più un grammo che si allontana dal mio corpo. E inizio a trattare il cattivo bendaggio, come ho trattato mia madre: cerco ogni modo per imbrogliarlo. E ci riesco benissimo.
Ma perché? Perché continuo a mettere avanti il discorso chili, anziché tentare di mutare qualcosa degli atteggiamenti che mi hanno portata ad essere obesa.
Mi piace pensare a questi ultimi 5 anni della mia vita come agli anni della ricerca di consapevolezza, come ad un periodo fantastico in cui Marina si concede, per la prima volta in vita sua, il permesso di essere se stessa. Butto gli abiti neri e blu e mi vesto di colori.
Il Forum di Amiciobesi è un immenso aiuto, un enorme locale in cui posso conoscere tantissime persone e testarmi su di loro. Vedere virtualmente se la Marina che sta emergendo ha un senso, se la Marina che scrive ed interagisce sul Forum è quella vera.
E lo è. Protetta dal monitor, protetta dall’anonimato, posso davvero lasciar emergere tutta una vita. Lavoro molto su di me, sperimento molte Marine e, piano pianissimo, inizio ad essere più clemente con me stessa. Utilizzo ogni mezzo per ritrovarmi: psicoterapia, letture, e tante parole…
Il cibo ha ancora un enorme potere su di me, ma io lo vedo scemare ogni giorno un po’.
Il cibo ha ancora un enorme potere su di me, ma non è più lui a comandare. Ogni giorno che passa, io divento un po’ più forte e lui un po’ più debole.
Il mio nuovo inizio è un intervento di bypass gastrico e la rimozione del bendaggio gastrico.
Un secondo intervento che mi vede in una sorta di resa responsabile, perché mi sento ancora una combattente e non importa se ho dovuto mediare, o se ho dovuto farmi aiutare in questa guerra. Devo salvarmi la pelle. Non mollo. So che potrò stare meglio e, soprattutto, so che, ora, questa mia coltre di grasso ha perso la sua iniziale “utilità”. Sono pronta a vivere senza la sua protezione, non mi serve più. Non la rinnego, come non si rinnegano gli amori finiti: mi ha dato molto, mi ha concesso di essere la persona che oggi sono e mi ha concesso di poter dire a quella mamma che ora non c’è più: “Ti ho amata tanto, più di quanto io stessa abbia mai pensato”. Perché solo un grande amore poteva sopravvivere a tanto dolore.
Marina Biglia
Presidente in carica dell’Associazione Insieme Amici Obesi No Profit