Affanno, difficoltà a vestirsi e ad infilarsi i pantaloni, non vedere i propri piedi tanto da non riuscire ad allacciarsi le stringhe delle scarpe, salire e scendere con lentezza le scale, essere impacciati nel sedersi, nel camminare, uscire dalle porte, subire gli sguardi curiosi e carichi di pregiudizi della gente, sudare, sentirsi spossati, affannati e pesanti nei movimenti e in tutte le innumerevoli, anche piccole, azioni quotidiane. Queste le prime sensazioni dichiarate dagli studenti che hanno provato l’esperienza fisica di “indossare l’obesità” anche se solo per poche ore.
Nella prima parte del seminario, gli studenti hanno potuto indossare una tuta rinforzata con un giubbotto pesante per oltre 20 chili di peso e provare ad infilarsi dei vestiti così come fa ogni giorno una persona obesa, stringersi i lacci delle scarpe, indossare pantaloni e maglietta, sedersi sulle normali sedie dell’aula o sulle panchine del giardino o sul prato, scendere le scale, e provare ad andare in giro per il campus universitario con il peso di questo orpello ingombrante sotto gli sguardi curiosi delle altre persone. Un’esperienza toccante, che ha suscitano emozioni e sensazioni in chi l’ha provato ma anche in chi l’ha osservato, che ha permesso a tutti i partecipanti di entrare un po’ di più nella malattia obesità, di capire un po’ di più che cosa significhi portare ogni istante della propria vita il peso della malattia addosso. Fisicamente, i passi diventano più incerti, instabili. Si diventa goffi, assurdi, inadeguati, si sentono i vestiti stretti, non si riesce ad allacciarsi le stringhe delle scarpe perché non si vedono neppure i piedi, si suda e tutto costa molta fatica. Un’esperienza sicuramente utile agli studenti che dovranno poi studiare una campagna di comunicazione e sensibilizzazione sull’obesità: malattia curabile.
Un’esperienza formante, diversa, empatica che ha colpito in profondità gli studenti presenti e che continuerà sicuramente a farli riflettere e a renderli più consapevoli di che cosa voglia dire portarsi addosso l’obesità. Un modo intelligente e sensibile per sfatare vecchi pregiudizi che ancora resistono intorno a questa malattia, una malattia curabile con un percorso faticoso ma fattibile. Il primo passo? “Ammettere ed accettare di essere obesi. Di essere malati. Perché è solo quando lo si accetta, che si inizia davvero a riprendere le redini della propria vita” ha affermato una studentessa, ex obesa, presente al seminario.
La seconda parte del seminario ha previsto l’intervento di tre professionisti di cui si parlerà in altri articoli dello speciale: psicoterapeuta (dott. Emanuel Mian), chirurgo dell’obesità (dr. Alessandro Giovanelli) e chirurgo plastico (dr. Andrea Reho). Tre figure professionali tra le principali del team di cura multidisciplinare di una persona obesa.
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