Il racconto della malattia può essere di sollievo e aiuto

Il racconto della malattia può essere di sollievo e aiuto:
L’istituto di ricerche Gfk Eurisko, ha condotto per l’azienda farmaceutica Pfizer su oltre 2mila persone un’indagine sulla loro esperienza della malattia e i bisogni relativi alla salute; il 60% di queste persone ne aveva avuto esperienza o personalmente o come parente di malato (caregiver).
La metà di queste persone ha indicato come ‘bisogno rilevante’ la possibilità di essere ‘aiutato, capito e confortato’, ma questa esigenza è risultata soddisfatta solo nel 20% dei casi; per l’86% del campione, rappresentativo della popolazione italiana, è importante potersi raccontare e condividere, magari anche on line, per avere consigli ma anche per poter accettare la situazione o per trovarci un senso positivo. www.viverlatutta.it è una piattaforma virtuale e interattiva su cui ci si può raccontare e si può raccontare l’esperienza della malattia: è il fulcro della campagna Viverla Tutta, promossa con il sostegno Pfizer, ideata con l’obiettivo di non presentare più la malattia come evento negativo, in modo che i racconti dei protagonisti possano, riaffermando la centralità del malato, diventare contributi per il miglioramento dei percorsi di assistenza e cura.
La Medicina Narrativa (Nbm – Narrative-Based Medicine) è un approccio metodologico che si basa sui racconti dei pazienti e anche su quelli dei medici, e si vale del contributo di altre discipline come la psicologia, la sociologia, l’antropologia, oltre alle medicine alternative; secondo questo metodo, il rapporto medico-paziente può rivelarsi determinante per la diagnosi e la cura. Il filosofo statunitense Daniel Dennett, studioso di mente e coscienza, ha rilevato: “…La nostra (degli umani) tattica fondamentale di autopromozione, autocontrollo e autodefinizione, è quella di raccontare storie e, più in particolare, collegare e controllare la storia che raccontiamo agli altri e a noi stessi su chi siamo”. Su questi temi si sono svolti due convegni, uno organizzato dal Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità, cui ha partecipato anche Brian Hurwitz, del King’;s College di Londra, padre della medicina narrativa, e l’altro organizzato dall’Istud Business School, per la presentazione del volume Medicina narrativa per una sanità sostenibile, della collana Fondazione Istud; la responsabile della Practice Sanità e Salute della Fondazione Istud, Maria Giulia Marini, spiega: «La medicina narrativa è democratica, di chiunque sia coinvolto nel processo terapeutico, e ricompone i saperi: malati, familiari, medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali. Ha detto bene Ermanno Paternò, della Fondazione Pfizer, che nei trial le aziende si concentrano sul singolo organo o apparato; qui invece si accoglie la persona in toto».
La medicina narrativa non si riduce, come vogliono i riduzionisti, al solo ‘buon ascolto’, e per dimostrarlo è necessario approfondire la ricerca; nel libro presentato al convegno, due studiosi, Lorenzo Moja e Isabella Alessandrini osservano: “…Le implicazioni causali non si possono accertare con metodologie qualitative… tutto va dimostrato con studi clinici randomizzati”. Come ripete Maria Giulia Marini, «Basta utilizzare corrette metodologie e misurare gli esiti», perché nel caso delle malattie rare, per scoprire le differenze e fare nuove diagnosi, sono essenziali i racconti del malato o di un familiare, e nel caso delle malattie croniche con il racconto si può verificare l’aderenza alla cura e la guarigione: la narrazione può in questo modo trasformare l’organizzazione sanitaria e la formazione dei medici. La campagna Viverla Tutta è la continuazione dell’iniziativa apparsa su repubblica.it e RSalute, basata sul questionario al quale i lettori dovevano rispondere a domande sulla loro esperienza con la malattia; l’iniziativa è stata coordinata dai un comitati di esperti: Stefania Polvani, direttore del Servizio Educazione alla Salute della Asl 10 di Firenze, Domenica Taruscio, responsabile del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità e con l’Eshms (European Society for Health and Medical Sociology), formato da un gruppo si scienziati attivi da trent’anni nel mondo della ricerca socio-sanitaria.

Fonte: 

 repubblica.it, 12 giugno 2012

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