Tanti che bisognerebbe parlare di ‘Globesità’, con tutti i suoi annessi e connessi, secondo il presidente dell’International Federation for the Surgery of Obesity and Metabolic Desorders (Ifso, Federazione per la Chirurgia dell’ Obesità), e direttore dell’Uoc di Chirurgia Laparoscopica dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Napoli, Luigi Angrisani, che precisa: « Sono i dati di una malattia che costituisce la seconda ragione di morte dopo il fumo, e la cui causa solo nel 5% dei casi è di origine organica, cioè determinata da altre malattie. Un’epidemia che colpisce anche paesi come il Brasile, la Cina e l’India; là colpisce le classi più abbienti, in Italia e negli Stati Uniti è vero esattamente il contrario, sono i più poveri a consumare il cibo spazzatura che costa poco e fa diventare sovrappeso».
Per evitare i problemi derivanti dall’accumulo di peso, da quelli alle articolazioni a quelli al sistema respiratorio, dal diabete alle malattie cardiovascolari e all’aumento del rischio di cancro, si devono cambiare gli stili di vita, con diete, farmaci e attività fisica; spesso però questi sforzi non raggiungono l’obiettivo.
Spiega Emanuel Mian, psicologo referente presso l’Inco (Istituto Nazionale per la Chirurgia dell’ Obesità): «È evidente, però, che su un corpo di 170 chili perderne 20 è spesso una fatica immane che, magari, non viene neppure riconosciuta e percepita da se stessi e dal resto del mondo; quindi, è facile che, demotivati, si torni ad abbuffarsi. Proverò senso di colpa, e lo so in anticipo, ma non importa; è peggio sprofondare nel vuoto che mi attanaglia prima dell’abbuffata, che conoscere già la colpa che sperimenterò a posteriori».
Non è solo l’atteggiamento psicologico a indurre a mangiare sempre di più, precisa il chirurgo bariatrico Alessandro Giovannelli, responsabile Inco: «Poi c’è anche una questione fisiologica; la colpa è delle adipochine, molecole sintetizzate e secrete dal tessuto adiposo, che inducono gli obesi a introdurre nel proprio corpo un numero sempre maggiore di calorie».
Falliti tutti i tentativi, ci si può rivolgere a dei seri centri di chirurgia bariatrica, dove, spiegano Giovannelli e Angrisani, il chirurgo è affiancato da psicologi, nutrizionisti, dietisti e altri specialisti, e dove l’intervento è personalizzato in base alle caratteristiche individuali, in modo che paziente e chirurgo scelgano insieme l’intervento più idoneo.
Secondo i due specialisti, il paziente tipo ha un indice di massa corporea superiore a 35 o 30, associato ad altre malattie come il diabete, e numerosi tentativi di dimagrimento falliti; anche i pazienti con obesità iniziale o moderata, però, possono sottoporsi all’intervento, con minori rischi e maggiori probabilità di successo.
Sono vari i tipi di intervento, come precisa Giovannelli: «Ci sono quelli che riducono la capacità dello stomaco, inducendo una sazietà precoce, come il palloncino intragastrico, che in realtà più che un intervento è una tecnica endoscopica, o il bendaggio gastrico regolabile o la gastroplastica verticale. Poi ci sono le operazioni che diminuiscono il volume dello stomaco e, al tempo stesso, accelerano il metabolismo, come la gastrectomia verticale e il bypass gastrico, e interventi che agiscono sui processi digestivi, riducendo l’assorbimento dei cibi, come la diversione intestinale e il bypass biliointestinale. L’intervento più eseguito in Italia è il bendaggio gastrico regolabile; si tratta di un intervento che riduce il volume dello stomaco trasformandolo in una sorta di clessidra; si esegue inserendo un anello di silicone nella parte superiore dello stomaco, dando luogo a una tasca di dimensioni ridotte. Il funzionamento è intuitivo, basta ingerire una piccola quantità di cibo per riempirla. L’intervento si esegue in 20 minuti, non è invasivo perché fatto in laparoscopia, ed è regolabile dall’esterno, ciò significa che il chirurgo periodicamente può stringere o allentare l’anello».
Angrisani prosegue: «Anche la gastrectomia verticale (Sleeve Gastrectomy) è in rapida diffusione in Italia e nel mondo; lo stomaco viene sezionato verticalmente, asportato per circa l’80%, e trasformato in una sorta di canalino. Questo intervento di ‘lifting gastrico’ agisce anche sul metabolismo perché diminuiscono nel sangue i livelli di grelina, un ormone prodotto da alcune cellule giacenti sul fondo dello stomaco, che regola il senso di fame.
Gli interventi sono risolutivi in una percentuale enorme, 60-80%, considerando che non vi sono altre possibilità di cura con metodiche conservative, anche perché l’obesità è una malattia cronica e degenerativa che tende quindi a ripresentarsi dopo 3-5 o 10 anni, ovviamente in relazione alla tipologia d’intervento e alla ‘bravura’ del paziente nell’attenersi agli schemi e ai consigli nutrizionali post-operatori. Anche l’esercizio fisico, per almeno 45 minuti al giorno, è fondamentale per il mantenimento del peso perso».
Una volta concluso l’intervento e tornati a casa, dopo solo due o tre giorni di ricovero, i pazienti non vengono abbandonati ma seguiti regolarmente, anche dal punto di vista estetico, perché il grasso perso lascia i tessuti molli e cadenti, quindi l’intervento di plastica ricostruttiva è spesso indicato, come spiega Angrisani: «Gli inestetismi cutanei possono e devono essere corretti dopo almeno sei mesi di stabilità del peso perso; addome, braccia, seno e cosce sono le zone del corpo in cui normalmente si interviene di più».
Dell’adattamento psicologico post-operatorio parla invece lo psichiatra, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Ao di Cremona e docente di Tecniche Conversazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Antonino Minervino: «Una drastica perdita di peso implica un radicale cambiamento delle propria immagine; a volte ciò porta a esaltazione ed euforia, con il rischio di abbassare la guardia e di cadere di nuovo nella trappola delle abbuffate, oppure, al contrario, può essere causa di depressione. Quel corpo nuovo, con meno chili addosso, esteticamente più piacevole, insieme alla ciccia ha perduto una parte di quello spazio più ampio che assicurava il suo esserci nel mondo; allora si fa strada la nostalgia, che spinge l’ex obeso nel vortice dal quale è appena uscito. Ma se il paziente è ben motivato dai medici e dallo psicologo, e viene seguito anche in famiglia, le probabilità di successo aumentano esponenzialmente».
Vanno comunque presi in considerazione anche i rischi, i più frequenti dei quali sono quelli relativi all’anestesia, ai sanguinamenti o alle emorragie, ma Giovannelli tranquillizza: «Con l’utilizzo della tecnica laparoscopica i rischi si sono ridotti notevolmente, e, se un obeso su 100 muore per le complicazioni dell’intervento chirurgico, non bisogna dimenticare che il 4% degli obesi non operati muore per le malattie connesse all’ obesità».
Fonte
Redazione online, 30 ottobre 2013
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