Che cosa pensano gli Endocrinologi degli effetti dell’alimentazione sull’attività ormonale? Di questo e di molto altro si parla all’AME DAY, un evento di aggiornamento macroregionale organizzato dall’Associazione Medici Endocrinologi (AME). Ne abbiamo approfittato per approfondire il tema che ci sta a cuore. Ecco le risposte.
“L’organismo umano è per sua natura predisposto ad accettare l’alimento come fonte di energia e come normale fattore di regolazione delle funzioni organiche in modo molto più favorevole di qualunque sostanza di sintesi. Alcuni alimenti, per il loro contenuto di nutrienti e principi attivi, sono in grado di influenzare l’attività ormonale delle ghiandole endocrine”, spiega Vincenzo Toscano, Presidente Eletto AME, introducendo uno dei temi affrontati in occasione degli AME DAY, giornate di aggiornamento dell’Associazione Medici Endocrinologi (AME), che riunisce gli specialisti che operano prevalentemente negli ospedali, che si svolgeranno il 20 e il 21 maggio a Verona, Firenze e Catania.
“In Italia le persone che potrebbero avvantaggiarsi di questa vera e propria pratica terapeutica sono tante, riferisce Piernicola Garofalo, Presidente AME ONLUS, se si considerano gli oltre 3 milioni di persone con diabete di tipo 22, una stima di oltre 6 milioni di casi entro il 20353, e considerando la crescita di questa patologia anche in soggetti sempre più giovani. Esiste, inoltre, un numero rilevante di soggetti sovrappeso o obesi che non sanno di essere diabetici e molti altri ancora che per familiarità lo diventeranno se non seguiranno adeguati programmi di prevenzione.
Malattie della tiroide e diabete, ad esempio, non raramente sono associate nello stesso soggetto, infatti un ipertiroidismo aumenta il rischio di emergenze iperglicemiche, mentre l’ipotiroidismo può determinare il peggioramento del compenso glicemico come indicato anche nel “documento di consenso tireopatie e diabete, AME-AMD”4.
La ricerca farmaceutica continua a mettere a punto presidi terapeutici sempre più innovativi ed efficaci per il trattamento della malattia conclamata. Ma, la vera sfida, sta nell’attuazione di programmi di prevenzione e nella capacità di diffondere una cultura che informi tutta quella fascia di persone che potrebbero sviluppare la malattia spingendoli verso un controllo adeguato della propria alimentazione5 e verso l’esercizio fisico, moderato ma costante. Alimenti come farmaci, che forniscono benefici salutistici oltre al contenuto nutrizionale, quindi con un risparmio in salute e una maggiore sostenibilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale: questo è quello che potrebbe essere raggiunto attraverso la nutraceutica, termine che sta per nutrizione e farmaceutico”.
Queste branche della nutrizione umana hanno potuto creare dei programmi personalizzati sulla costituzione genetica dell’individuo, precidendo i fabbisogni nutrizionali e gli eventuali rischi correlati alle patologie nutrizionali.1
Ridurre l’introito di calorie ha forti benefici per la salute e per il rallentamento e la prevenzione di molte alterazioni degenerative associate all’età. Benefici evidenti sembra averne il sistema nervoso centrale, dove il livello di infiammazione (prima causa dell’invecchiamento) si abbassa controllando il regime alimentare.
È ormai nota da tempo la stretta correlazione tra stato infiammatorio della persona anziana e le malattie degenerative come l’Alzheimer, il cancro, il diabete di tipo 2 e le malattie cardiovascolari.
“Nel contesto del gruppo di pazienti che prima o poi svilupperanno il diabete, asserisce Agostino Paoletta, Coordinatore commissione farmaci AME, si annoverano anche le pazienti con sindrome dell’ovaio policistico, un disturbo presente nel 7-8 % delle donne in età fertile, caratterizzato da disturbi del ciclo, acne, alopecia e irsutismo: anche in queste pazienti con disturbi della sfera endocrina è possibile intervenire per prevenire il diabete attraverso un’alimentazione capace di evitare il picco glicemico dopo il pasto5, responsabile dell’eccessiva risposta insulinica. Bisogna limitare il consumo di zucchero e carboidrati raffinati6, preferendo quelli con basso indice glicemico; limitare i grassi animali e dividere l’assunzione di cibo in pasti piccoli e frequenti, con più elevato apporto calorico a colazione e aumentare l’assunzione di pesce.
Un ritorno alla nostra dieta mediterranea, con l’effetto benefico dell’olio extravergine di oliva, vero prodotto nutraceutico, della frutta e della verdura, rappresenta una regola fondamentale. Assumere pasta e pane integrale, al posto del pane bianco o della pizza, e accompagnandoli con verdura verde a foglia larga rappresenta sicuramente un altro presidio per ridurre il picco glicemico post prandiale. Altra raccomandazione è quella di mangiare le proteine prima dei carboidrati sempre nell’ottica di favorire una riduzione del picco glicemico. Altra importantissima regola è quella di evitare di mangiare di notte perché questa abitudine non rispetta i nostri ritmi biologici e crea un incremento del peso doppio rispetto ad analogo apporto calorico, assunto durante le ore di luce, almeno per quanto è stato osservato negli animali da esperimento”.7
“Ma attenzione al fai da te, conclude Vincenzo Toscano, questa terapia va avviata ma anche controllata per quel che riguarda la reale efficacia. AME ha creato un gruppo di esperti che si occupa di nutraceutica e che ha il compito di favorire l’avvio di trial che documentino, su base scientifica, l’efficacia o meno di certi interventi sia di tipo nutrizionale che di supporto alla dieta con integratori alimentari la cui variabilità è comunque enorme nell’offerta di mercato. Il tutto per cercare di dare una risposta scientifica alla domanda di salute che la popolazione va richiedendo con lo scopo di ridurre l’incidenza di patologie croniche ad alto impatto nel costo dell’assistenza medica e sulla qualità di vita delle persone stesse e di chi sta loro accanto”.
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