A cura di Marina Biglia, Presidente dell’Associazione Amici Obesi Onlus
Eccoci qui.
Il sogno ricorrente di ogni obeso è di addormentarsi una sera e, al mattino, miracolosamente, risvegliarsi magro. E, molte volte, quello che si vive in un percorso di dimagramento, è davvero un lungo sonno. Dal quale poi ci si sveglia. Anche in modo brutale. Sappiamo benissimo che il percorso non è stato facile, molto spesso non lineare, fra mille dossi e cunette, fra cento “adesso mollo tutto” e altrettanti cento “oggi ricomincio”. Qualunque strada si sia intrapresa per perdere peso.
Quasi sempre, arriviamo alla meta, all’agognato peso ragionevole, con una stanchezza infinita, come samurai che, dopo aver tanto combattuto, vorrebbero godersi, davvero, null’altro se non un po’ di normalità.
E invece ci ritroviamo a specchiarci. E lo specchio non ci risponde, come nelle favole, che siamo i più belli del reame, ma ci mostra, impietoso, un campo di guerra, un terreno di battaglia abbandonato. In poche parole, ci esibisce, il più delle volte, un corpo sfatto, o, nella migliore delle ipotesi, il fisico di un cane di razza Sharpei, con pelle che abbonda su un fisico che, ormai, la vive solo come un esubero.
E tu, che ti eri vergognato fino a ieri, fino a 50 chili prima, di mostrarti in costume su una qualsiasi spiaggia, ora triplichi la tua vergogna, perché quel nuovo corpo che, vestito può ingannare i più, ora non lo può più fare. Ma, siccome, solo tu conosci la fatica che hai fatto per tornare a mostrarti su quella spessa spiaggia, ti chiedi cosa sia cambiato dal ciccione di allora.
In fondo chiedi solo di essere un’anonima persona su una spiaggia affollata, speri che quegli sguardi pietosi o schernenti, che il tuo corpo grasso aveva attirato, non ti sfiorino più. Ma capisci che, da quel punto di vista, non è cambiato molto.
Sei comunque guarito, ma a metà
I tuoi due corpi in uno solo, hanno comunque lasciato spazio a un unico corpo che non ti appartiene, come un abito troppo largo.
E la risorsa qual è? O meglio qual è la cura, perché ancora di malattia stiamo parlando, ovvero delle conseguenze legate all’obesità che ti ha fatto compagnia fino a non molto tempo fa?
Il solo grande aiuto, l’attenzione e il riguardo per te stesso ti possono arrivare dalla chirurgia plastica ricostruttiva, dove la parola “ricostruttiva” è per il malato la vera chiave di volta. Perché, insita in questa parola, vi è la rinascita, il rinnovo e il ricreare un elemento che ora ti è estraneo: il tuo corpo. Non è solo una questione estetica, anche se, sicuramente e giustamente, il fattore estetico ha una sua rilevanza non indifferente e sacrosanta, ma è la corretta chiusura del cerchio, il completamento di un’opera, la guarigione, nel senso più completo del termine.
E se fino ad alcuni anni fa, l’opera ricostruttiva, da parte della chirurgia plastica, veniva considerata quasi come un rammendo, un qualcosa di necessario, ma non eccessivamente accurato, come se l’obeso non si meritasse, visto che il danno se l’era praticamente auto-causato, un lavoro da esibire senza provare una nuova vergogna per una evidentissima cicatrice. Il suo nuovo marchio indelebile.
Con il tempo, spostandosi l’attenzione da parte dell’ambiente medico-scientifico, sul riconoscimento dell’obesità come malattia genetica, della quale, pertanto, il malato non può assolutamente essere considerato colpevole, i lavori ricostruttivi hanno acquisito una diversa rilevanza ed evidenziato la necessità ed il diritto di riappropriarsi di un corpo gradevole e non massacrato da ulteriori sfregi. Quindi è emersa, da parte del chirurgo plastico ricostruttivo, l’estrema attenzione alla cicatrice, nel cercare di renderla il meno possibile visibile, dando origini a lavori precisi, e il più possibile, con tracce non evidenti.
Un ultimo passo, fondamentale, di cui nessuno parla
Purtroppo, l’esistenza di nuovi interventi chirurgici per impadronirci nuovamente di noi stessi, per ritrovarci a vivere ragionevolmente bene con i nuovi noi stessi, non viene molto evidenziata, o, addirittura, non se ne parla minimamente, in fase di dimagramento. Pertanto, il più delle volte, il paziente si trova a non conoscere quello che, in virtù di un suo diritto di malato, gli spetterebbe come ultimo passo.
Ma sono certa che anche queste lacune verranno colmate, e non solo dal passaparola dei pazienti: i tempi stanno cambiando. Esistono seri ed efficienti Centri multidisciplinari per la cura dell’obesità, che lavorano con un occhio proteso al domani e a presentare al malato tutta l’offerta di cure possibili.
L’obeso e, di conseguenza l’ex-obeso, cominciano ad essere visti, anche e soprattutto nell’ambiente medico, con occhi diversi, con più empatia e condivisione del dolore e non più come grassi corpi che si sono danneggiati da soli, appartenenti ad individui privi di volontà e pertanto derisi o ignorati.
E, mi auguro, che anche lo stesso malato non veda più la cicatrice, lasciata da questi nuovi interventi plastici, come simbolo di una sconfitta, o peggio ancora, di una esagerata dimostrazione di successo. La cicatrice è il segno indelebile di cosa siamo stati, ma non è la lettera scarlatta che ci identificherà come obesi per tutta la vita.
Perché ora, su quella spiaggia, ci andremo: con le nostre insicurezze belle salde, con la paura di risentire ancora sguardi commiseranti, ma con la certezza di aver fatto un grande, grandissimo lavoro su noi stessi.
Il cerchio si è chiuso: ci siamo salvati la vita. Ora non ci resta che viverla.
Marina Biglia