A cura della d.ssa Stefania Comai*, psicologa dello sviluppo e dell’educazione con un Master in Psicobiologia della nutrizione e del comportamento alimentare
La convivenza con una malattia cronica, come l’obesità, il diabete e altre richiede un ripensamento globale della propria vita. L’intervento del medico clinico nel trattamento della cronicità non è quindi paragonabile alla sola riparazione di un organo o di un meccanismo difettoso: è una vera e propria cura, non si può semplicemente delegare all’Esperto. Il professionista sanitario che si confronta con una persona che soffre di obesità o diabete, è chiamato ad affiancare il paziente nel farsi carico di una condizione che coinvolge aspetti trasversali della sua vita: abitudini alimentari, attività fisica, lavoro, relazioni, senza trascurare i fattori più psicologici ed emotivi del paziente e dei suoi familiari.
Ripensare all’alleanza medico-paziente nella cronicità
Questa importante considerazione rende necessario un ripensamento della relazione di cura medico-paziente su più fronti:
- richiede un coinvolgimento attivo della persona nel modificare il proprio stile di vita. É l’individuo stesso (o il caregiver o la famiglia) il primo protagonista della cura, la persona che ogni giorno ha il peso di gestire la propria alimentazione, l’attività fisica, le terapie farmacologiche, la pianificazione di controlli periodici;
- prevede che i professionisti sanitari potenzino le proprie competenze di relazione e comunicazione, per poter ingaggiare e sostenere la persona nello sforzo di autogestione che condizioni come l’obesità o il diabete È importante che l’operatore sanitario sia formato a considerare anche i principali fattori psicosociali, di sotto citati, che possono influenzare il livello di aderenza del paziente alla terapia ed il suo senso di efficacia nel prendersi cura di sé;
- suggerisce l’opportunità di investire ulteriormente su percorsi di cura interdisciplinari. L’intervento psicologico nel diabete o nel trattamento dell’obesità (nutrizionale, farmacologico o chirurgico) è utile a segnalare eventuali condizioni di rischio (es. sintomi di depressione, disturbi del comportamento alimentare, fragilità del contesto familiare). Può però rappresentare una risorsa anche nell’adattamento alla diagnosi, nella modificazione delle abitudini di vita, nell’adesione a un piano di rieducazione alimentare, nel miglioramento della qualità di vita.
Il coinvolgimento attivo della persona, oltre al paziente
In altre parole, ripensare la relazione di cura medico-paziente significa abbandonare un modello di obbedienza passiva alla prescrizione medica (si parla di conformità o compliance del paziente al trattamento) a favore di un approccio che punti a un coinvolgimento attivo della persona in un percorso che sia condivisibile e ritenuto utile.
Per fare un esempio, una persona con diabete può essere meno propensa e motivata a eseguire un adeguato automonitoraggio glicemico o a regolare la propria alimentazione se a monte non ha compreso o condiviso il proprio piano di cura. Lo stesso vale per una persona con obesità che non sia pienamente consapevole dell’impegno necessario a intraprendere un percorso di chirurgia bariatrica.
È in questo senso che la partecipazione attiva del paziente (patient engagement) ha un ruolo fondamentale nella gestione della malattia cronica: su di essa si gioca la disponibilità della persona a seguire controlli periodici, modificare abitudini disfunzionali per la propria salute, non improvvisare modifiche alla terapia farmacologica, o altri aspetti che possano avere un impatto importante sull’efficacia del trattamento e la qualità di vita generale. Perché il paziente possa essere attivamente partecipe, è tuttavia richiesto anche al professionista sanitario di ampliare il proprio sguardo e sviluppare il repertorio di risorse relazionali di cui dispone. D’altra parte, l’adattamento e la modificazione delle abitudini di vita non possono essere semplicemente prescritti.
La gestione di una malattia cronica chiede al clinico di spostare l’attenzione dalla malattia alla persona nella sua globalità
È importante che tutti gli operatori sanitari siano formati a elaborare proposte terapeutiche che tengano conto e si adattino, per quanto possibile, anche alle caratteristiche psicologiche e sociali della persona che hanno di fronte. Non è un caso che l’elaborazione di un piano nutrizionale adeguato parta ad esempio da un’attenta anamnesi delle abitudini di vita (passata e presente) del paziente.
Quali sono quindi le principali “dimensioni” che il proprio clinico dovrebbe considerare e chiedere durante una visita, in particolare quando si inizia un percorso di cura?
FATTORI INDIVIDUALI
· Risorse personali
Quali sono le principali caratteristiche e competenze del paziente? (consapevolezza di sé, capacità di adattamento, gestione dello stress, autonomia e organizzazione, ecc.)
· Conoscenze e credenze sulla malattia
Cosa sa e pensa della propria condizione?
Quali ritiene siano le cause e i fattori che la mantengono?
È consapevole delle possibili complicanze associate?
· Aspettative e motivazioni
Cosa motiva maggiormente il paziente al trattamento?
Quali aspettative ha in termini di benefici o di esito?
· Senso di autoefficacia e controllo sulla malattia
Quanto si ritiene in grado di far fronte alla malattia nella quotidianità e di migliorare la propria qualità di vita?
Quali sono le principali difficoltà che incontra e come le interpreta?
· Coinvolgimento e fiducia nel trattamento
Quanto il paziente condivide il percorso di cura intrapreso?
Quali benefici percepisce e quanto ne è soddisfatto?
Quale livello di fiducia esprime verso i professionisti sanitari?
· Vissuto emotivo
Quale impatto emotivo ha la malattia cronica sul benessere della persona?
Quali preoccupazioni nutre il paziente sul suo stato?
Dispone di strategie funzionali per la gestione delle emozioni e dello stress associati alla malattia?
· Aspetti di fragilità
La persona presenta aspetti di fragilità significativa (es. sintomi depressivi, sindrome da burnout, condizioni di disagio psicologico pregresso), che potrebbero richiedere maggiore attenzione?
· Abitudini di vita e resistente al cambiamento
Che lavoro fa la persona e quali sono i suoi ritmi di vita?
Quali sono le abitudini più difficili da modificare nell’adattarsi al percorso di cura?
FATTORI RELAZIONALI E SOCIALI
· Caregiver e famiglia
Quali sono le risorse familiari e sociali del paziente?
Che ruolo giocano le persone significative nel suo progetto di cura?
· Condizioni socio-economiche e culturali
Quali costi per esami, farmaci, alimenti funzionali o integratori si ritiene che il paziente possa realisticamente sostenere?
Beneficia delle eventuali agevolazioni previste?
· Servizi e risorse del territorio
Quali servizi ha a disposizione sul proprio territorio (associazioni di pazienti e familiari, gruppi di auto mutuo aiuto, istituzioni e società scientifiche, ecc.)?
Diversi studi e meta analisi mettono in evidenza come questi fattori possano influenzare le scelte di prevenzione, la capacità di autogestione e la motivazione del paziente a prendersi cura di sé. Costruire una relazione terapeutica efficace, quindi, può significare anche concedere più spazio alla sfera psico-sociale del paziente, senza con questo avanzare la pretesa che il singolo professionista possa condurre una valutazione specialistica ed approfondita di ogni aspetto.
Su quali risorse personali può fare leva il clinico a questo scopo?
Competenze chiave per una relazione che cura
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), tra le dieci risorse che è opportuno sviluppare per promuovere il benessere personale (life skills), indica almeno tre competenze relazionali, strettamente interconnesse, che è importante esercitare, tanto più nei contesti di cura. Vediamole brevemente:
- Empatia
Rappresenta la capacità di mettersi nei panni dell’altro, in questo caso della persona/ paziente, riconoscendo ed accogliendo il suo punto di vista ed il suo vissuto emotivo, senza critica o giudizio. Un atteggiamento empatico da parte del medico può consolidare un rapporto di fiducia, all’interno del quale la persona può sentirsi libera di esprimere difficoltà, dubbi o richieste di aiuto. D’altro canto solo la sospensione del giudizio può consentire, al clinico come al paziente, di comprendere i meccanismi automatici ed inconsapevoli che spesso alimentano abitudini disfunzionali. Fin tanto che si giudica un comportamento, non è possibile comprenderne le cause e, così facendo, intervenire per modificarlo.
- Capacità di costruire e mantenere relazioni efficaci
Per stabilire un rapporto di cura funzionale alla gestione della malattia cronica è importante che l’operatore sanitario abbandoni un approccio direttivo e paternalistico in favore di un atteggiamento di collaborazione che promuova il senso di autonomia e competenza del paziente nel prendersi cura di sé. Nella cronicità, il medico ha la responsabilità di sostenere e formare la persona nell’autogestione della propria malattia. Entro questa relazione al paziente deve essere consentito di esprimere liberamente i propri bisogni, affinché il percorso di cura possa risultare realmente individualizzato e sostenibile, e quindi la persona vi aderisca in modo consapevole ed efficace.
- Capacità di comunicare in maniera efficace
Richiede al professionista sanitario di esprimersi in maniera chiara e adeguata al suo interlocutore, verificando che questi abbia compreso e chiedendo un riscontro sul contenuto (opinioni, preoccupazioni, domande). Inoltre non va trascurato che una comunicazione efficace prevede anche di esercitare una significativa capacità di ascolto, che lasci spazio al paziente e non lo costringa precocemente dentro categorie diagnostiche. Un altro aspetto importante riguarda lo stile della comunicazione che il medico o l’infermiere talvolta può esprimere, in maniera più o meno consapevole, attraverso non solo i contenuti e la scelta delle parole ma anche il linguaggio non verbale (espressioni del volto, tono di voce, gestualità).
Conclusioni
Nella gestione di malattie croniche come obesità o diabete, al paziente è richiesto un significativo livello di adattamento. È importante che da ambo le parti della relazione di cura si conoscano e si tenga conto dei fattori che possono migliorare il livello di motivazione e coinvolgimento attivo della persona. Costruire un rapporto di empatia, creare un relazione di fiducia e collaborazione, comunicare in maniera chiara e rispettosa, oltre ad essere comportamenti dovuti perché legati al rispetto verso l’altro, sono anche competenze strategiche fondamentali per la costruzione di un processo di cura efficace.
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References
– Albury C. et al – The importance of language in engagement between health-care professionals and people living with obesity: a joint consensus statement. Lancet Diabetes Endocrinol 2020 May;8(5)
– Graffigna G et al – Italian Consensus Statement on patient engagement in chronic care: process and outcomes. Int J Environ Res Public Health 2020 Jun 11; 17(11)
– Graffigna G, Barello S – Engagement. Un nuovo modello di partecipazione in sanità. Il Pensiero Scientifico Editore 2018
– Ordine degli Psicologi del Lazio – Buone prassi per l’intervento psicologico in diabetologia, 2018
* La d.ssa Stefania Comai è psicologa dello sviluppo e dell’educazione con un Master in Psicobiologia della nutrizione e del comportamento alimentare (Università di Tor Vergata, Campus Bio-Medico di Roma). Ha conseguito una seconda laura specialistica in Filosofia morale e bioetica presso l’Università degli Studi di Bologna. Si è formata nell’ambito dell’intervento psicologico in diabetologia e in chirurgia bariatrica. Ha intrapreso la specializzazione in psicoterapia ad indirizzo Familiare Relazionale presso l’Istituto di Terapia Familiare di Bologna. Segue inoltre il percorso di promotore delle life skills presso l’Associazione Life Skills Italia. Esercita la libera professione a Bologna.
Per maggiori informazioni: https://www.stefaniacomai.com/